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Cuba, solidarietà a tutta prova

«Informo il nostro popolo e informo lei, Comandante in Capo: l’Operazione Carlota è terminata!», disse il Generale d’Esercito Raúl Castro nel 1991. Foto: Orlando Cardona
«Informo il nostro popolo e informo lei, Comandante in Capo: l’Operazione Carlota è terminata!», disse il Generale d’Esercito Raúl Castro nel 1991. Foto: Orlando Cardona

Data: 

25/05/2021

Fonte: 

Periódico Granma

Autore: 

A 30 anni da quando i nostri ultimi internazionalisti tornarono dall’Angola, mi convinco sempre più che, oltre che militare, la vittoria sul Sudafrica e i suoi alleati è stata una vittoria profondamente umana.

Migliaia di testimoni e di protagonisti hanno potuto scrivere libri interi o rimanere per ore a rivivere momenti trascendentali durante azioni e combattimenti nello spazio di quindici anni.

Davanti agli occhi c’è l’altruismo di  Quifangondo, Cabinda, Ebo, Sumbe,

Cangamba, Cuito Cuanavale, Calueque, centinaia di carovane e altri

istanti ai quali parteciparono direttamente o indirettamente più di 370.000 cubani.

Nessuno era stato obbligato ad andare. Nessun d loro lo ha fatto cercando glorie personali, denaro, fortuna o doni…
Fu la risposta di un paese intero, nessuno lo dubiti, di fronte all’aiuto sollecitato dal  presidente Agosthino Neto al Comandante in Capo Fidel Castro (nel 1975), di fronte alla congiura tessuta da potenze straniere con la controrivoluzione interna, per occupare Luanda e impedire l’ indipendenza dell’Angola, accordata ad Alvor.

Carlota si chiamò l’operazione di solidarietà cubana, per ricordare la schiava africana che nel 1843 aveva guidato una rivolta contro

l’oppressione spagnola nella fabbrica di zucchero Triunvirato, de Matanzas.
Esperti e investigatori hanno scritto e potrebbero farlo ancora di più sull’esperienza militare e sul contributo politico cubano per i destini di quel paese (la sua sovranità) e del continente (la fine del  apartheid in Sudafrica) e l’implementazione della Risoluzione 435/78 della ONU (per l’indipendenza della Namibia).

Ogni rintocco d’orologio, senza dubbio accentua la convinzione di quanto ci manca da dire ancora a proposito del fatto che l’arte militare forse non ha potuto mostrare mai al mondo l’impronta umana lasciata in ogni palmo di terra difesa.

Non è immaginazione: è la reale figura del medico cubano che cerca di salvare un neonato che la nativa tiene in braccio tra i singhiozzi, è la gola che non riceve alimenti mentre un gruppo di piccoli angolani guarda con un vuoto tanto grande negli occhi come nello stomaco.
È la  gratitudine del bambino che a cinque anni era stato lasciato moribondo, senza famiglia, e che i nostri uomini protessero e gli diedero un nome  (Alberto Manuel Gómez), e lo trasformarono in un magnifico giovane.

È il soffio di vita in ogni parco infantile che le mani cubane costruirono per bambini scalzi o i giocattoli rustici fabbricati nei rifugi di Cuito Cuanavale, per risvegliare forse per la prima volta la fantasia dell’infanzia in quella zona.

Sono i soldati angolani ai quali il sergente Alfredo Plascencia insegnò a leggere e scrivere a Ruacaná, o i monumenti eretti alla vittoria, in paraggi lontani, prima di un ritorno trionfale la cui totale trasparenza era stata osservata dalla ONU.

È la figura di un uomo chiamato Joao Isidro Sesse che gira la testa in mezzo alla folla che saluta le nostre truppe, per non vedere le lacrime di sua moglie e anche nascondere le sue.

Ed è Raúl in El Cacahual, due giorni dopo il ritorno dell’ultimo combattente che disse con voce ferma quello che con fermezza aveva compiuto il popolo di Cuba, «il vero protagonista di quell’epopea», dimostrazione colossale di quanto può  un paese, piccolo e solidale mosso da giuste cause: «Informo  il nostro popolo e informo lei, Comandante in Capo: l’Operazione Carlota è terminata!».