Intervista al Comandante Fidel Castro Ruz, dalla CMQ, a Camagüey, il 3 gennaio 1959, "Anno della Liberazione".
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Fidel Castro.- Assicurata la vittoria lungo il Paese, controllati tutti i comandi militari della nazione dalle direzioni rivoluzionarie, ed essendo già il magistrato Urrutia presidente della Repubblica, alla cui investitura è assolutamente subordinato il mio comando militare; ristabiliti nella Repubblica la libertà ed il potere civile in tutti i sensi, chiedo ai leader operai e a tutti i lavoratori, così come a tutte le classi, il cesse dello sciopero generale rivoluzionario che culminò con la più bella vittoria del nostro popolo.
Mi ricordo devoto agli eroi caduti in questa ora di vittoria, e il mio riconoscimento emozionato e profondo al popolo di Cuba, che è oggi orgogli ed esempio nell’America.
Giornalista. - Dottore Castro: Quando si potrà annunciare al popolo dell’Avana del suo arrivo assieme ai suoi compagni?
Fidel Castro. - Ovviamente Lei deve capire il nostro desiderio di arrivare all’Avana, tra l’altro, perché sappiamo che ci stanno aspettando, però lo spostamento deve farsi lentamente, per motivi vari: la strada è bloccata in diversi punti...
Giornalista. - Siamo stati testimoni —mi scusi se La interrompo— dell’apoteosi dell’ovazione e della strepitosa accoglienza che ha ricevuto a Camagüey, dove decine di migliaia di donne, uomini e bambini si sono lanciati sulle strade per acclamarla. Pensiamo che è proprio per questo che lo spostamento dovrà essere più lento.
Fidel Castro. - Effettivamente, ritengo che il riconoscimento e l’affetto che il popolo ci ha dimostrato supera tutti i nostri meriti. Credo che non abbiamo fatto altro che compiere il dovere e, alla fin fine, non è stato tanto il sacrificio; maggior è stato il sacrificio delle madri che hanno perso i loro figli in questa lotta, che è stata una lotta necessaria. Noi l’abbiamo fatta; pensiamo di avere compiuto il nostro dovere, o quanto meno una parte di esso.
Considero che ogni giorno è più il lavoro, a volte e assolutamente stancante. Ci sono molti giorni che non dormiamo neanche un minuto, né di giorno né di sera.
Io le spiegavo, le stavo proprio spiegando il motivo del nostro ritardo, e dicevo che a causa della guerra era stato necessario - per impedire il passaggio delle forze che combattevano contro di noi e dei carri armati-, abbattere dei ponti; ed adesso stiamo andando proprio in veicoli e carri armati e siamo costretti di prendere delle biforcazioni e quindi dobbiamo andare lentamente. Poi, abbiamo il dovere di fermarci nei villaggi, dove ci aspettano sempre i nostri compatriotti, desiderosi di salutare i nostri combattenti, e questo ci ritarda. Secondo i nostri calcoli, partiamo questa sera o domani, all’alba, da Camagüey, per arrivare a Santa Clara dopo domani, cioè martedì — anche a Santa Clara dobbiamo fare una manifestazione—; e successivamente, mercoledì, secondo i nostri calcoli, pensiamo di arrivare all’Avana, nel pomeriggio. Ecco i nostri piani, e pensiamo che, anche se vogliamo arrivare alla capitale, chiediamo scuse al popolo dell’Avana, e gli chiediamo di capire le difficoltà di spostarci più rapidamente. Io, in un primo momento, avevo pensato che sarebbe stato più veloce lo spostamento...
Giornalista. - Abbiamo capito, dottore Castro, che Lei sarebbe arrivato all’Avana con oltre 1.000 uomini, con tutti i carri armati e veicoli, ecc.
Fidel Castro. - Beh, infatti, partendo dei nostri piani di ristrutturare e di riorganizzare le forze rivoluzionarie, ho lasciato nelle diverse province, nelle diverse zone, i combattenti necessari con l’incarico di preservare l’ordine, cosa che non è difficile a Cuba. Alla provincia di Oriente non abbiamo avuto neanche un solo caso di saccheggio, e inoltre gli elementi più detestati, sono stati carcerati, nessuno ha presso rappresaglie di mano propria, anche se era sotto controllo la situazione nazionale, ci sono stati alcuni combattimenti in diverse città dove c’erano elementi disperati che avevano molte colpe, ciò che ci ha costato alcune pregiate vite. Fortunatamente, il capitano Horacio Rodríguez, uno dei nostri compagni del Granma, dopo avere preso la Piazza di Manzanillo cercò di fermare uno sbirro —un uomo molto detestato perché aveva commesso molti crimini nella zona di Yara—, e quando stava sul punto di fermarlo, a quel preciso momento, sembra che con l’impegno di catturarlo, entrò in una casa dopo avere lanciato due granate di mano, e allora gli spararono una raffala de mitraglietta e l’ammazzarono. Qui, a Camagüey si combatté ieri contro elementi delle forze repressive, spii ed elementi di Masferrer che si rintanarono in un fabbricato e fu necessario sloggiarli a viva forza. Ci costò anche alcune vite. Però, oltre ai suddetti fatti… Tutti quei elementi, quando erano detenuti, immediatamente, seguendo la norma che abbiamo mantenuto in questa guerra, nessuno si lasciava trascinare dall’odio né dalla vendetta; anzi, tutti lo ritengono come una questione d’onore e di gentilezza - anche con i criminali-, il fatto di sottoporgli a giudizio...
Giornalista. - Questo è un grande esempio di responsabilità e di riservatezza dalle forze rivoluzionarie.
Fidel Castro. - Ho sempre detto che in futuro non ci sarebbe stata vendetta, perché giustizia sarebbe fatta. Tuttavia, giustizia vuole dire osservare le condizioni elementari della procedura, anche se ci sono casi in cui non abbiamo altra alternativa che la pena capitale, perché sono uomini che hanno commesso, alcuni di loro, perfino a 20-30 assassini, ed è impossibile in tali casi di non applicarla. Il popolo non vuole altro, ma che gli si applichi la pena capitale.
Giornalista. - Ben giustificata.
Fidel Castro. - Ed in tali casi, sarebbero i tribunali rivoluzionari a decidere secondo la legge rivoluzionaria, e secondo il desiderio del popolo e, inoltre, è ciò che necessita il paese. Non dobbiamo dimenticare i giorni tragici conosciuti dalla nazione. Capisco un po’ l’emozione che prova il popolo, il delirio, la gioia delirante del popolo, solo per la crudeltà della tirannia. Io dicevo ad un giornalista che quella era la misura di quanto crudele e inumano era stato il regime di Batista.
E’ necessario, inoltre, dare un esempio: quando si agisce con giustizia, perfino i parenti di alcune persone che hanno commesso decine di crimini, capiscono che non c’è altro da fare, e non c’è neanche rancore. Saranno punizioni esemplari che la Rivoluzione generosa applicherà a coloro che veramente lo meritano, però gli dicevo che per noi è una soddisfazione il fatto di costatare che non c’è stato neanche un caso di persona trascinata sulle strade. Le popolazioni di Manzanillo, ad esempio, di Santiago de Cuba, di Holguín, dove ci fu il terrore accanito contro il popolo, furono i luoghi dove il comportamento è stato più esemplare.
Così, non è difficile mantenere l’ordine perché, mediante la persuasione, il popolo fa tutto. Il cubano, tradizionalmente, senza forzarlo, è disposto a collaborare e fare tutto il necessario, i più grandi sacrifici; a quello che non è abituato è a fare le cose per forza. Quello l’ho ben capito...
Giornalista. - Dottore, mi perdoni la domanda un po’ sentimentale
Fidel Castro. - Dica pure.
Giornalista. - Comunque, alla caserma Moncada Lei iniziò il primo gran combattimento armato contro gli usurpatori, e fu proprio là che nacque e prende il nome il Movimiento 26 de Julio, Lei sicuramente ebbe un forte impatto nell’entrare vittorioso alla caserma Moncada. Vorrebbe spiegare brevemente le sue impressioni?
Fidel Castro. - Beh, da molto tempo viviamo sotto l’impatto emozionale; in qualche modo ci siamo abituati a circostanze eccezionali come quella. D’altra parte, per esempio, dalla nostra partenza dal Messico, la traversata, lo sbarco; quando sbarchiamo in una palude, avevo pensato che era un isolotto, fino a quando abbiamo capito che... Abbiamo fatto fatica per uscirci. I primi insuccessi: il fatto di rimanere con due uomini e due fucili per quasi 15 giorni, cercando di riprendere i contatti e raggruppare i primi combattenti, ricuperare le armi perse. Tutte le peripezie della lotta: le prime vittorie, dalla più piccola fino alla più grande; dal combattimento di La Plata fino all’occasione in cui, circa sei mesi fa, siamo stati costretti di combattere contro ben 14 battaglioni di fanteria assai armati, con solo 300 uomini e 5.000 proiettili dalla riserva...
Giornalista. – I suddetti combattimenti si svolsero a Oriente, vero?
Fidel Castro. – Beh, quelli furono alla Sierra Maestra. Per due anni e trenta giorni abbiamo vissuto ogni tipo di emozione, sai? Ovviamente, anche quei giorni... Il giorno 1, fu tremendo perché ci siamo sentiti traditi; ci fu un tentativo di strappare la vittoria al popolo. Quella mattina, abbiamo dovuto agire velocemente...
Giornalista. – Lei parla del tentativo di formare il Consiglio Militare a Columbia?
Fidel Castro. – Del Consiglio, del putsch, fu un putsch controrivoluzionario per evitare l’inevitabile; il fatto è che se avesse durato 15 giorni in più, avremmo messo in carcere tutte le forze. A quel momento avevamo 10.000 soldati sistemati nella provincia di Oriente. Eravamo sul punto di attaccare Santiago, quando arrivò Cantillo per farci le proposizioni che... Io, ad esempio, pensavo, esaminandolo freddamente, che il meglio era non accettare nessun appoggio, perché a quel momento avevamo già vinto la guerra; tuttavia, nel fare tali calcoli, ci si deve sempre pensare che, se si può raggiungere lo stesso obiettivo senza versare del sangue… Perché soprattutto, gli uomini che caddero alla fine della guerra, sono quelli che ci provocano più di tristezza, pensando, ad esempio, che avevano sopravvissuto i pericoli dei combattimenti, e questo ci provoca una grande tristezza, nel momento di un combattimento vittorioso, pensare che non videro il frutto della vittoria. Questo ci è capitato con alcuni comandanti. C’è il caso del comandante Paz, quando la battaglia del Jigüe... Non, voglio dire, il comandante Cuevas, quando la battaglia del Jigüe, ore prima di quella vittoria, che fu la nostra prima grande vittoria, perché significò più di 300 perdite e la cattura di 260 armi, una battaglia che durò 10 giorni; e quel compagno, che era stato uno degli eroi di quel combattimento, non sopravvisse, non poté vedere la vittoria. Ci fu anche il caso con il comandante Cuevas, con il comandante Daniel, con il comandante Coroneaux, quando la battaglia di Guisa, che fu l’eroe di quella battaglia di Guisa, e...
Giornalista. – Quanti giorni durò la battaglia di Guisa, Comandante?
Fidel Castro. – Durò ben 10 giorni. Le battaglie più forti durarono 10 giorni. Non so se conoscono bene tutti i particolari.
Giornalista. – Sarebbe interessante che Lei ci raccontasse alcuni dei più importanti, certo? perché...
Fidel Castro. - Beh, veramente non finiremmo oggi.
Giornalista. - Però alcuni dei principali particolari che il popolo vuole conoscere, perché ammira giustificatamente la vostra eroicità.
Fidel Castro. – Beh, non è tanto, solo che non potevamo fare altro. Posso dirle, ad esempio, che abbiamo cominciato il combattimento del Jigüe con 120 uomini, e si combattè contro due battaglioni. Per ognuno dei nostri uomini abbiamo causato tre perdite alla dettatura. Il combattimento di Guisa si svolse alle porte di Bayamo contro tutti i carri armati Sherman; noi non avevamo l’artiglieria, non avevamo nulla, e tuttavia i 220 uomini combatterono contro circa 3.000 uomini. Ciò che succedeva in quei combattimenti era questo: noi cominciavamo a combattere con un numero determinato, ma pian piano che passavano i giorni, avevamo sempre più fucili, perché ogni volta che infliggevamo una sconfitta al nemico, si occupavano 20-30 fucili, e cominciavano... Ad esempio, cominciai la battaglia del Jigüe con 120 uomini e la finiamo con circa 400 uomini armati. Quella di Guisa cominciò con 220, era alle porte di Bayamo, e concluse con 350 uomini armati. Noi, per ben 45 giorni, combattemmo contro guarnigioni che opposero una forte resistenza... La caserma di Maffo resisté per ben 20 giorni, si trincerarono nei capannoni del BANFAIC e fu tremendo.
La resistenza opposta a Palma Soriano non fu tanto forte perché si collocò il mortaio 81 in un’ottima posizione; il nostro operatore era molto bravo e in pochi minuti mesi fuori combattimento la forza maggiore di Palma, comunque opposero resistenza.
Fu anche in quei giorni dove abbiamo subito più perdite, perché lo spostamento da Guisa a Santiago de Cuba fu uno spostamento di lotte continuate lungo la Strada Statale. Si raccontava che noi, come eravamo alla Sierra, potevamo dominare la situazione. Noi abbiamo dato battaglia alle truppe di Bayamo e a tutte le guarnigioni che c’erano tra Bayamo e Santiago de Cuba, lungo la Strada Statale, e al momento in cui ci siamo impadroniti della Strada Statale non ci strapparono nemmeno un pollice di strada. Durante quei giorni occupiamo oltre 700 armi, e fu fatto, dalle colonne uno e tre... E, inoltre, ormai non era questione di colonne; ormai tutte le nostre truppe collaboravano, perché tutte quelle che erano in una posizione, appoggiavano le altre, impedendo il passaggio dei rinforzi. E hanno causato oltre 1.000 perdite e si occuparono più di 700 armi.
A quel momento si svolgeva la battaglia di Santa Clara, perché comunicai in quei giorni, dopo i combattimenti di Guisa, con il comandante Ernesto Guevara, che era il nostro comandante nella provincia, e gli dissi… perché lui conosceva i nostri piani di andare verso Santiago, ed era molto importante; quando lui uscì dalla Sierra Maestra, l’obiettivo strategico dell’avanzamento delle colonne fino a Santa Clara era proprio per appoggiarci durante la nostra marcia verso la capitale.
Non parlerò adesso —perché sarebbe lungo— della nostra strategia; fu un piano fatto e attuato con esattezza, ciò che consentì la sconfitta di Batista quasi lo stesso giorno previsto da noi, e anche Santiago de Cuba, cadde più o meno il giorno che avevamo previsto farlo. Fu così… Ciò che per poco...
Beh, per poco no, non ci avrebbero potuto strappare la vittoria in nessun modo, anche se provarono a farlo.
E se non avessimo agito velocemente, le conseguenze sarebbero state gravi, perché alla gente dissero che Batista se ne era andato, si informava che noi ci spostavamo verso L’Avana, si voleva fare pensare che noi eravamo d’accordo con quello, si parlava perfino di una “commissione di pace”.
E pensai, dopo che Batista abbandonasse il potere, una commissione di pace che venisse a incontrarci perché non realizziamo le operazioni, poteva farci apparire agli occhi del popolo come ambiziosi o intransigenti; era, affatto, un momento tremendo, perché quello non aveva nulla di rivoluzionario. Inoltre, era un tentativo di preservare in qualche modo la forza; per poco ci chiedono di consegnare i fucili.
Spesse volte avevo detto - prevedendo il pericolo-, che non avremmo accettato il Consiglio Militare, e che la nostra condizione per raggiungere un accordo con un movimento militare, era che i suddetti militari non fossero compromessi con crimini, immoralità, furto, vizio né ogni tipo di depravazioni ...
Giornalista. – Sembra, dottore —e mi scusi dell’interruzione—, che il suo discorso rifiutando interamente il Consiglio Militare, sembra che fu il colpo decisivo alla situazione...
Fidel Castro. – Guardi, quando mi dissero... Io ero nell’America preparando le truppe per andare verso Santiago, quando mi comunicano che a Radio Progreso era stata annunciata la partenza di Batista.
Certamente non era una sorpresa perché il giorno prima gli avevo inviato un ultimatum annunciandogli la rottura delle ostilità, e l’avevo inviato alla piazza di Santiago de Cuba perché fosse comunicato a Cantillo, perché lui già... avevo capito il tradimento 24 ore prima del 31 dicembre alle ore3 del pomeriggio, data e ora per le quali si era tracciato un piano d’azione, secondo l’appoggio incondizionato —perché altrimenti non sarebbe stato accettato— che verrebbe dato alla Rivoluzione. E nel capire questo gli scrissi subito e ci scambiamo alcune lettere che ho letto alla radio, documenti che provano assolutamente il tradimento di Cantillo; gli inviai un ultimatum e gli dissi che dopo le ore 3 del pomeriggio del 31 dicembre... saremmo avanzati risolutamente verso Santiago.
A Santiago si sarebbe ingaggiata una battaglia molto dura, perché c’erano circa 5.000 soldati, artiglieria, carri armati...
Noi eravamo abituati a lottare contro tali effettivi, e, inoltre, ero certo che avremmo preso Santiago; il piano era fatto e non avevo dubbio della nostra vittoria a Santiago. Ormai ci si conoscono le reazioni, le tattiche, tutto, quando ci si deve attaccare da una parte... Ad esempio, quando ci si vuole che abbandonino una posizione, sappiamo cosa fare; e quasi risultano infallibili le tattiche da applicare. E avevo cominciato a sistemare dei carri armati all’entrata della baia per interrompere la comunicazione via mar; cannoni montati dei carri armati, per terra...
Giornalista. – Fortunatamente, non è stato necessario usarli...
Fidel Castro. – Io dicevo che neanche le fabbriche Krupp fabbricavano migliori cannoni dei nostri, fatti al zuccherificio America, utilizzando...
Giornalista. - Erano fabbricati là i cannoni?
Fidel Castro. – No, i cannoni no, essi provenivano dei carri armati; parlo del montaggio del cannone. Allora, sistemavo i mortai contro l’aeroporto, e avevamo ormai delle mine che andrebbero sistemate tra l’aeroporto e la citta. Lo scopo era interrompere le comunicazioni —come abbiamo fatto a Palma—, prendere l’aeroporto e bloccare la baia; avevamo anche dei mezzi per affondare dei navi, ma questo avrebbe cagionato un attrito internazionale e la perdita di molti milioni. I cannoni sarebbero sistemati a 300 metri dall’entrata delle navi. Le truppe cominciavano a sistemarsi; la prima cosa da fare sarebbe stata attaccare le sporgenze vicine a Santiago de Cuba. Eravamo immersi in questo quando nel mattino del giorno 1 mi dicono che a Radio Progreso avevano informato che Batista era fuggito verso Santo Domingo. E visto che solitamente spargono tante voci, a volte le persone ascoltano una cosa e.... E in linea di massima ci si ascolta sempre con scetticismo la notizia. Immediatamente chiedo di verificare la notizia, e una mezz’ora dopo abbiamo conosciuto che effettivamente Batista era fuggito, e che c’era un Consiglio, e che Carlos Manuel Piedra era il presidente. Io, immediatamente, senza perdere nemmeno un minuto, feci le dichiarazioni; in meno di un’ora feci le dichiarazioni e mi recai al posto dove si trovava Radio Rebelde, a Palma. A quel momento feci la proclama informando del putsch, che tra l’altro era molto sospetto, che non l’accettavamo; e a quel momento diedi l’ordine a tutte le colonne di avanzare verso i villaggi, d’attaccare, e di non dare tregua a meno che fosse per la resa. E comunicai con il comandante Camilo Cienfuegos e gli ordinai di avanzare immediatamente; lui aveva appena preso Yaguajay, e gli dissi che aveva, massimo, due ore, per organizzare gli uomini e partire verso la capitale. E gli dissi di prendere Columbia. A Camilo gli si poteva dare quest’ordine
Giornalista. - Perché l’eseguiva.
Fidel Castro. - Sì. Gli dissi di partire con 500 uomini, armi automatiche e che prendesse Columbia. Che una volta a
Columbia, comunicasse con me.
Allora, Che, stava sul punto di finire la battaglia di Santa Clara; aveva ancora 300 soldati resistendo. Gli dissi di non preoccuparsi, di lasciarci qualche truppa per mantenere l’assedio e che partisse immediatamente per appoggiare Camilo; che Camilo prendesse Columbia, e lui la Cabaña.
Allora noi abbiamo guidato le truppe immediatamente verso Santiago de Cuba. Dovevamo comunque attaccare Santiago quel giorno, perché altrimenti, si sarebbe consolidato il putsch. Verso le ore 2 pomeridiane, ero preoccupato con le notizie proveniente dall’Avana, nel senso che una “commissione di pace”...
Giornalista. – La commissione era ormai nominata.
Fidel Castro. - Lei sa bene come sono quei momenti confusi. La stampa internazionale può essere ingannata, l’opinione pubblica può essere confusa. Però, la mia proclama era stata già letta e si era ascoltata dalla CMQ e Radio Progreso; e, inoltre, immediatamente incontrai i compagni della direzione del Movimiento e conveniamo di dare l’ordine dello sciopero per il giorno successivo, e a Santiago la demmo per le ore 3 pomeridiane, ed un ultimatum alla città perché se alle ore 6 di sera non si deponevano le armi, avremmo attaccato.
Andando verso Santiago fu molto simpatico perché sentì alla radio che il popolo era gioioso, che sulle strade c’erano le bandiere del Movimiento e che le donne erano vestite in rosso e nero per salutare la vittoria del leader della Rivoluzione e la vittoria di Fidel Castro. E io mi dicevo: come mai la mia vittoria se adesso sto andando verso una città che ha 5.000 soldati? Era una situazione molto curiosa.
Però, infatti, la guarnigione di Santiago de Cuba, dove era il colonnello Rego Rubido —di cui ho un’ottima opinione, perché tante volte si conoscono meglio gli avversari degli amici... E lui è un militare d’onore ed un uomo coraggioso, e avrebbe potuto resistere. Avevamo ormai scambiato qualche comunicazioni attinente, proprio… gli avevo detto quanto convenuto con Cantillo e ciò che faceva Cantillo; gliel’aveva detto il giorno precedente. Allora lui decise di entrare in contatto con noi.
Inoltre, da parte della Marina, ci fu un atteggiamento simile: la fregata Maceo entrò in contatto con noi e ci disse che erano incondizionatamente alle nostre ordini.
Giornalista. – Lei sa che già quella volta —e mi scusi— la CMQ era in catena con tutte le altre radio e con Radio Rebelde, trasmettendo all’intera Isola e anche al continente?
Fidel Castro. – Sì, lo so, so che le mie dichiarazioni furono ascoltate dalla CMQ, le ascoltai.
Allora, la fregata Máximo Gómez immediatamente disse che assecondava; la questura di Santiago disse che ci appoggiava; e al tempo stesso, il capo della guarnigione si spostò in elicottero a Palma per rintracciarmi; non potè trovarmi, e noi continuavamo andando verso Santiago. Si preparava ormai l’attacco quando abbiamo contattato un capitano che si trovava a El Caney, e abbiamo contattato il colonnello Rego. Ci incontrammo. Allora gli dissi che volevo incontrare tutti gli ufficiali della guarnigioni di Santiago de Cuba per parlargli; che volevo soltanto parlare con loro, che ero certo che i miei argomenti sarebbero accettati da loro, giacché pensavo che avevo ragione e che parlerebbe loro in termini che erano proprio quelli più convenienti per la repubblica e per loro.
Infatti, alle ore 7 di sera, ebbe luogo la riunione, spiegai che Cantillo era venuto per parlarmi a nome dell’esercito, tuttavia mi aveva tradito prima di cominciare, e che aveva tradito anche i soldati, perché loro non erano stati interpellati; che non volevo il putsch, che volevo riunirmi democraticamente con tutti gli ufficiali e, se fosse necessario, con tutti i soldati, per parlare a tutti i soldati; che quello non era una cospirazione ma una decisione democratica; che i generali non avevano il diritto di decidere su... Che normalmente il militare deve compiere gli ordini e obbedire, ma quando si tratta di questioni vitali e fondamentali come quella di decidere l’atteggiamento, la posizione in un momento storico di un esercito, bisogna consultare gli ufficiali.
Giornalista. – Però, intanto, comandante, tutto il popolo festeggiava gioioso la vittoria, perché ne erano già venuti a conoscenza tramite la CMQ, Radio Reloj e altri emittenti radio, delle sue dichiarazioni respingendo il Consiglio.
Fidel Castro. – Beh, io dissi questa frase nel capire il tradimento ed il modo assurdo di procedere, che perfino Pedraza faceva parte del Consiglio, anche se si era andato, che degli ufficiali erano nominati a certe cariche e poi, quando vennero a prendergli per dargli la carica erano già partiti —si figuri come aveva la coscienza quella gente! Era una mancanza di tatto politico, un errore.
Io dissi: questo uomo ha fatto un salto mortale nel vuoto. E anche dissi, con altre parole: “guardi, gli abbiamo colti fuori base, tra la prima e la seconda, perché non sono neanche arrivati alla terza”. (Risate).
Giornalista. – L’ha detto nel linguaggio del baseball: cioè, out tra la prima e la seconda base...
Fidel Castro. – Sapevo che, dallo stato morale delle nostre forze in quel momento, l’ordine di avanzare verso le caserme sarebbe stato un disastro totale per il regime, perché Cantillo era la continuazione del regime. Ed ero certo delle conseguenze. Ovviamente, si potrebbero produrre battaglie sanguinose. Mi preoccupavano e mi facevano male gli eventuali morti. Quindi considerai che l’atteggiamento dei militari era degno di prendersi in considerazione, parlo dei militari di Santiago de Cuba. Ci risparmiarono vite. E inoltre, a quel momento, tutto era molto confuso. E assicurarono la vittoria, perché dal momento in cui le fregata e l’esercito di Santiago de Cuba s’unirono, e anche l’esercito di Bayamo, non importava ciò che facesse Cantillo a Columbia perché sarebbe comunque sconfitto. Camilo avanzando, e noi andavamo subito ad appoggiarlo.
Successe che... Guardi: la storia di quei due anni di lotta è la storia di un serie di errori da parte dei nostri nemici, di sottovalutare l’avversario. Loro sottovalutarono il popolo di Cuba ed i ribelli molte volte, e lo fecero ancora una volta all’ultimo minuto. Loro pensavano che si poteva prendere in giro il popolo, tuttavia la Rivoluzione uscì molto più forte dopo il tradimento. Non so se quel uomo pensò che saremmo rimasti le brace incrociate. Appena adottati i provvedimenti necessari per oltrepassare quella situazione, e prima delle 10 ore, era interamente sotto controllo.
A Cuba ebbe luogo un fatto straordinario. Spesse volte pensai che la Rivoluzione si sarebbe fatta in due tappe, nella prima si sarebbe ottenuta una parte della vittoria e poi ci sarebbero stati altri urti; però la Rivoluzione si è fatta in una sola volta. Il disarmo di tutte le forze avversarie ebbe luogo solo in ore. Non si disarmarono coloro che ci avevano appoggiato in quel momento di confusione, ed in nessun modo... Inoltre, contai sulle suddette truppe. Ieri incontrai i 2.000 soldati che erano a Bayamo, e c’era dell’entusiasmo e del fervore, del senso di lealtà nei confronti del popolo rappresentato. Chi vede quel popolo…. Non dell’esercito, il personale tecnico dell’esercito viene con noi e con la nostra colonna. Allora, farò spostare alcune compagnie della Marine e di quelle accampate a Bayamo perché ci raggiungano, e infatti vale la pena formare qui uomini, perché c’è un ottimo materiale umano.
Giornalista. - A proposito di quello, Comandante...
Fidel Castro. – Allora, gli farò venire, perché come gli avevo già detto, qui non ci sono sconfitti ma vincitori, esclusivamente, perché è il popolo chi ha vinto...
Giornalista. – Il popolo, senz’altro.
Fidel Castro. - Non voglio che entrino soltanto... Se noi tutti dobbiamo vivere in pace, è un nostro dovere, come rivoluzionari, scegliere i veri militari, coloro che abbiano la qualità umana, per formare il nuovo esercito della repubblica, perché non dobbiamo entrare da soli all’Avana, se i militari ci assecondarono in quel momento, che era duro, quando alcuni militari ci tradivano loro ci assecondarono, allora è giusto che entrino all’Avana non soltanto i ribelli ma anche alcune compagnie dell’esercito, armate.
Giornalista. – E saranno ricevuti in modo esultante.
Fidel Castro. - Armate! E che entrino anche alcune compagnie della Marina armate. Perché mi fido interamente di quei uomini.
Giornalista. – Quando Lei sarà entrato all’Avana, andrà in Palazzo, a Columbia o alla Caserma di...
Fidel Castro. - No, guardi, niente Palazzo, perché nessuno ha mai pensato al Palazzo.
Giornalista. – Lei andrà a Columbia?
Fidel Castro. – Beh, l’idea e d’incontrarci a Columbia, il popolo, i ribelli ed i militari, perché il movimento creatosi a Santiago fu un movimento di rivoluzionari, di militari e di popolo. Ecco la Rivoluzione che volevamo e che predicavamo, e spesse volte... parlavamo continuamente ai militari.
Giornalista. – Allora inviterà il popolo a Columbia, all’accampamento di Columbia per partecipare a...
Fidel Castro. – Inviteremo il popolo a recarsi in massa a Columbia, a ricevere i combattenti della regione orientale ed i soldati che ci hanno raggiunto, i soldati rivoluzionari, i marinai rivoluzionari. Riunire i militari con il popolo, perché da adesso in poi, e per sempre, gli istituti armati saranno istituzioni del popolo.
La tirannia aveva allontanato i militari dai civili. Un civile disarmato, senza tecnica e senza conoscenza militare, era in balia di qualsiasi cricca che fosse al potere, ed il militare è solito obbedire gli ordini. E occorre identificare il militare con il popolo; ormai sono finite le differenze, quello solo serve a creare uno spirito di casta e un disprezzo tra loro.
Giornalista. – E’ lo stesso popolo...
Fidel Castro. – E noi, la nostra missione è... La Rivoluzione deve essere assicurata, innanzitutto, mediante il controllo degli strumenti necessari per appoggiare il Governo Rivoluzionario.
Giornalista. – Ed i piani immediati di ristrutturazione e di democratizzazione.
Fidel Castro. – In secondo posto: creare le basi permanenti per gli istituti armati della repubblica, d’identificazione permanente con il popolo. Possiamo fare molto perché quella identificazione abbia luogo. E fare diventare gli istituti armati in veri modelli di istituzioni, innanzitutto, al servizio della patria, della Costituzione e dei diritti del popolo. Credo che possiamo fare molto, e l’abbiamo dimostrato; perché il nostro esercito, l’Esercito Ribelle, è un esercito dove non si è mai colpito un prigioniere, né è stato insultato un prigioniere, né è stato assassinato un prigioniere. E ciò l’abbiamo insegnato agli uomini che avevano visto assassinare e torturare i compagni. Questo ci si può insegnare all’intero esercito, e chiedo al popolo di aiutarci.
Infatti, voglio fare molte cose in questo momento, perché ho molti compromessi. Soprattutto, ho dei compromessi con i contadini, che sono quelli che subirono il peggio della guerra, ed in questo momento devo occuparmi degli istituti armati. Lei sa che sono avvocato.
Giornalista. - Lo so, certo. E brillante!
Fidel Castro. - No, no, non brillante.
Giornalista. – Con ottimi voti. Con il massimo di voti.
Fidel Castro. – Non sono militare di professione. E non sapevo che avrebbe dovuto occuparmi in questi momenti..
Giornalista. – Tutte le conoscenze militari le imparò alla Sierra Maestra, nella lotta?
Fidel Castro. – Assolutamente sì. Guardi, penso che ogni uomo è un guerriere, questo ci viene dagli antenati, che lottavano senza sosta. E la guerra richiede di molta furbizia, senso comune, agilità mentale, bene, di tante cose. E noi abbiamo ottimi comandanti, e nessuno ha studiato in alcuna accademia militare. Posso assicurarle che, quando dissi a Camilo di prendere Columbia, ero sicuro che l’avrebbe fatto, e quando dissi a Che di prendere la Cabaña, ero sicuro. Non la presero, ovviamente; fortunatamente non ci si combattè, ma comunque la prendevano.
Giornalista. – Così come avevano preso altri villaggi in precedenza.
Fidel Castro. – Guardi, alcuni mi dissero: “è una pazzia inviare quelle colonne passando per Camagüey”. E dissi: “no”. La gente pensava che le colonne erano immense, e le colonne... quella di Camilo aveva 82 uomini e quella di Che ne aveva 110. A Che gli demmo la bazooka, a Camilo tutti i Garands, quasi tutta la truppa aveva le migliori armi. Perché io, immediatamente distribuii le forze pensando in questo piano, in questo momento, e inviai Camilo e Che, che erano tra i migliori comandanti.
Io, ogni volta che avevo un comandante alla Sierra Maestra, o alcuni ufficiali qualificati, dovevo inviargli fuori e quindi dovevo cominciare a insegnare altri. Ed i nostri imparavano combattendo.
Giornalista. – Quella era l’accademia della Sierra.
Fidel Castro. – Perché dalla Colonna Uno nacquero tutte le altre, fino a quando dissi: “basta...” Io uscii da La Plata con 16 uomini, pochi giorni dopo le elezioni, e ormai eravamo a Santiago con circa 1.000 uomini. Io dissi: “questa volta la Colonna non sarà divisa”. Anche perché le circostanze erano cambiate e ciò che si doveva fare era avanzare, fare operazioni importanti. Noi, alla fine dell’offensiva, avevamo 800 armi; poi ci lanciamo subito in vari sensi. Le carte c’è li ho, con tutti i piani, fatti accuratamente, con precisione.
Io dicevo che ogni uomo è un guerrieri nato, e perciò si spiega che abbiamo fatto la guerra. Inoltre, lo ripeto: perché non abbiamo altra alternativa, cosa si poteva fare? Un giorno Tabernilla disse che noi eravamo in 12. Era vero; quel giorno in lo disse eravamo in 12. E noi, la sola cosa da fare era di arrenderci o di scappare, se si poteva. Noi non ci saremmo resi né ci saremmo scappati, perché per scappare avevamo del tempo, e noi non abbiamo mai avuto il desiderio di arrenderci né di scappare. Allora, qual era l’alternativa? Vincere la guerra. Ed è questo che abbiamo fatto; l’abbiamo fatto perché era la sola alternativa.
Giornalista. - Consolidata ormai la vittoria rivoluzionaria, Comandante...
Fidel Castro. – Beh, dicevo che devo occuparmi di qualcosa che non è il mio mestiere.
Giornalista. - Lei parlava soprattutto dei contadini.
Fidel Castro. – Posso fare molto poco. Vi dico che devo contentarmi con fare poco, per diversi motivi. Innanzitutto, perché già il compito attinenti alla riorganizzazione, la ristrutturazione e lo stabilimento delle basi veramente democratiche degli istituti armati della repubblica, era già un compito; anche se si lavora già in un gruppo di attività in questo senso, e tutto andrà bene rapidamente. Tuttavia ho degli obblighi molto importanti, soprattutto con i contadini, obblighi immediati.
Non vorrei che venissero a meno quelle persone. E mi ricordo che molte volte, quando passavo per quei luoghi, loro diceva: “e quando non saranno più qui, forse non si ricorderanno di noi”, perché erano abituati ad essere dimenticati. Ed io, sinceramente, sono molto affezionato a quelle persone, e penso dedicare una grande parte del tempo a fare ciò che sarà alla mia portata, anche usando gli stessi combattenti per svolgere dei lavori in quella zona, usando al popolo, fornendogli macchinario, delle cose che chiederò a coloro che sono ai ministeri, chiederò loro di collaborare. E’ quello che posso fare, perché ho il proposito di subordinare interamente la mia autorità al presidente legittimo della repubblica, e sarò in tutto un subordinato del potere civile, perché è proprio quello che predichiamo ed è quello di cui ha bisogno il paese. Quindi, posso fare poco. Ma sono certo che i compagni eletti dal Presidente vogliono lavorare. Al tempo stesso che svolgerò i compiti assegnatomi, farò il mio meglio, quanto sarà a mia portata, per compiere le cose immediate.
Non voglio nemmeno fermarmi per molti giorni all’Avana senza andare alla Sierra Maestra, devo incontrare i contadini della Sierra Maestra, perché devo unire i contadini della Sierra Maestra. Sono stati riuniti i cittadini, i nostri compatriotti di Bayamo, Palma Soriano, Santiago de Cuba, di tutti i villaggi.
Giornalista. – E poi verrà fatto in tutte le province.
Fidel Castro. – Ci incontreremo all’Avana. Tuttavia devo incontrare i contadini della Sierra Maestra e riunire migliaia e migliaia di contadini senza bombardamento, senza fame, senza assedio, perché so che per loro sarà una grande speranza sapere che noi ci ricordiamo di loro. E mi creda che sono obbligato con l’intera nazione, e sono obbligato con tutti i miei compatriotti, ma mi sento anche molto obbligato con quei uomini che ci aiutarono a fare...
Giornalista. - La nazione ha molte speranze e gioia, ha fiducia alla vostra opera patriottica, alla quale collabora decisamente l’intero popolo.
Fidel Castro. – So che riusciremo, anche se abbiamo un duro lavoro da fare. So che riusciremo, perché sono diventati uomini rivoluzionari.
Se avessimo trionfato il giorno successivo allo sbarco, non ci sarebbe stata una rivoluzione perché non c’erano i valori umani. E la Rivoluzione e la lotta sono state una straordinaria scuola dalla quale sono nati straordinari valori, uomini di una grinta e di una capacità a tutta prova sui quali ci si può fidare.
Guardi, io sono calmo. Mi dicono di prendere cura di me, di stare attento ai franco tiratori che girano nei villaggi, che se mi succedesse qualcosa sarebbe un problema. Io sono interamente sicuro, ma assolutamente sicuro che qui nessuno è indispensabile. Glielo dico francamente, perché conosco gli uomini con cui conta la Rivoluzione e quanto sono uniti in seno al nostro Movimiento. So che nessuno è indispensabile. A me possono assegnarmi un lavoro determinato, oppure dirmi di riposarmi un mese, o di fare un giro in Europa o in un altro luogo. Non sono indispensabile, sono sicuro che tutto andrà bene.
Quando lascio, per esempio, un comandante a Camagüey e gli dico di svolgere alcune attività, oppure lascio Raúl a Santiago de Cuba, io lo so. Come gli vidi quando gli mandai al Segundo Frente, a svolgere un determinato compito; quando inviamo il comandante Ernesto Guevara a Las Villas; con un compito preciso. Loro, da soli, risolvevano i problemi; loro avevano istruzioni generali, ma l’altro lo facevano loro. Nelle attività svolte dai nostri comandanti, ovunque fossero, loro ci hanno dimostrato che avevano una tale capacità, che io non sono costretto di essere presente. Loro sanno cosa si deve fare...
Giornalista. – C’è identificazione tra i loro principi e le loro procedure.
Fidel Castro. – Assolutamente sì. Per esempio, del gruppo del Granma siamo rimasti 10 o 12 compagni.
Tutti, attualmente, sono comandanti dell’Esercito Ribelle, e saranno anche comandanti del nuovo esercito della repubblica, del nuovo esercito che sarà dei rivoluzionari e dei militari onorevoli. Lei può immaginare quanto abbiamo vissuto insieme dopo la nostra partenza dal Messico. E’ quasi impossibile che non ci sia comprensione tra di noi. Siamo noi quelli rimasti, e c’è un’identificazione tanto completa che...
Giornalista. – Tutti sanno, Comandante, che molti di quelli che vennero nel Granma non poterono sopravvivere per vedere la vittoria. Quanti sono stati i morti del Granma?
Fidel Castro. – Senta, infatti, nel combattimento morirono quattro compagni. Il resto, come al solito. Inoltre era necessario togliere un’idea dalla testa dei rivoluzionari; c’era quel pessimismo, quel fatalismo... Quando c’era una sconfitta, c’erano sempre in tanti... successe anche quando il Moncada, e anche dopo. Alcuni compagni, con il loro fatalismo, credevano che era impossibile la lotta e cercavano di andarsene, consegnavano le armi e alcuni si presentavano. Il caso è che i compagni detenuti nei primi momenti sono stati assassinati tutti, e assassinarono circa 35 o 40.
Occorre fare un calcolo perché all’inizio era molto difficile sapere chi era riuscito e chi non. Però assassinarono circa 35 compagni; morirono quattro in combattimento, e alcuni caddero in agguati. I sopravvissuti eravamo all’incirca il 50%. E ci sono stati anche dei morti tra quelli che abbiamo continuato la lotta. Da un gruppo di circa 14, morì il compagno Ciro Redondo, il compagno Julito Díaz, e poi il compagno Horacio Rodríguez. Dovrò ritornare... Stiamo rivedendo continuamente quanti siamo rimasti del gruppo della Moncada, poi quanto siamo rimasti del gruppo del Granma, e in questo momento siamo all’incirca 10 - 12.
Giornalista. – Bene, Comandante, non gli prendiamo più di tempo, sappiamo che Lei ha dei compiti urgenti da svolgere.
Fidel Castro. – Bene, voglio cogliere l’occasione per ringraziare l’impresa CMQ. Il loro lavoro fu straordinario. Quando realizzai che gli emittenti radio erano in aria lunedì, dissi: “bene, adesso è impossibile il fallimento”.
Giornalista. – E in catena con gli emittenti ribelli. Era il consolidamento del trionfo.
Fidel Castro. – Quello era incredibile. Io sapevo... Fu decisivo l’appoggio degli emittenti radio nell’ultima battaglia ingaggiata e l’ultima vittoria, e la più grande vittoria. Non fu una vittoria dell’Esercito Ribelle, fu solo una vittoria dell’onesto soldato, dei lavoratori, delle classi, dell’intero popolo, e anche della stampa radiale e televista. Voglio ringraziare loro sentitamente e riconoscere tutto quello che hanno fatto, voglio ringraziare loro in nome del popolo...
Giornalista. - Del popolo, che è il vincitore.
Fidel Castro. – Ringraziare loro a nome di voi.
Giornalista. - Comandante, un’ultima domanda, per i giornali terrestri. I giornalisti sono in disposizione di fornire tutta la loro collaborazione, perché è la cooperazione alla Rivoluzione che il popolo tanto desiderava e che Lei ha portato a termine. Compiuta ormai la Rivoluzione, come ripeto, era una brama del popolo, e che è stato possibile grazie al sacrificio di tutti i suoi uomini e del popolo e anche, nell’ambito economico, il popolo è preoccupato, per esempio, con la raccolta della canna da zucchero. Ci verrà data un’attenzione speciale e immediata alla suddetta questione?
Fidel Castro. – Osservo un’attività febbrile in tutti i campi economici, istallando le vie di comunicazione rapidamente, collocando... Quello è risultato dell’ottimismo che c’è nel paese (Interruzione) ... invece non sono calmo quando le cose diventano... quando ci vogliono prenderci in giro (Risate).
Giornalista. - Lei diceva poco prima, Comandante, che quando ascoltava la radio e la tv, tra cui la CMQ, Radio Reloj e le altre emittenti del paese, si sentiva sicuro della vittoria, perché il popolo ascoltava tutti gli orientamenti finali della lotta...
Fidel Castro. – Sì, sì... Ad esempio, quando vidi... Per una serie di circostanze capì che tutti i vantaggi erano dalla nostra parte, che il tradimento sarebbe la distruzione degli interessi che cercavano di salvare.
Quando ascoltai dalla radio che il popolo era sulla strada, quando realizzai alla radio si parlava liberamente, capì che il regime era interamente sconfitto, che la Rivoluzione aveva trionfato veramente. Era ciò che si necessitava. Ed il servizio prestato dagli emittenti di radio fu straordinariamente utile nella battaglia finale, che fu l’ultima vittoria della Rivoluzione; una vittoria, come dicevo, dove avevano partecipato non solo i combattenti, ma anche il popolo, i lavoratori, le classi, la stampa. E ciò fu decisivo. Devo riconoscere e devo esprimervi il mio riconoscimento a tutte le emittenti per il servizio prestato, che fu molto decisivo e molto pregiato.
Giornalista. - A proposito di questo: quando finisce lo sciopero finisce interamente la censura di stampa, essa cessa di esistere, c’è assoluta libertà d’informazione, certo?
Fidel Castro. – Proprio così. So che il popolo sarebbe a soffrire le conseguenze dello sciopero, ed è assurdo che non ci si preoccupiamo per il popolo. Tutti erano preoccupati. Incontrai Camilo ieri, all’alba, e aspettavo il risultato delle istruzioni dategli di assumere il controllo di tutti i comandi, ed aspettavo la sua risposta, che ormai ho ricevuto per diverse vie: la conferma che sono controllate dai comandi rivoluzionari tutte le istallazioni militari del paese; e poi, ieri, il dottore Urrutia è entrato in possesso...
Giornalista. – Si costituì il Gabinetto...
Fidel Castro. – La Rivoluzione ha trionfato e quella stessa sera... Sono impaziente perché comunicate la notizia ai lavoratori e ai leader operai: la nostra richiesta perché cessi immediatamente e che il popolo possa già godere della gioia del trionfo.
Giornalista. – Quella è una grande notizia e, inoltre, che Lei va mercoledì all’Avana, dove verrà ricevuto anche con apoteosi, come in tutti gli altri luoghi.
Fidel Castro. - Guardi, voglio fare il mio meglio, finora l’ho fatto, ho detto: “quel giorno”, e quel giorno.
Quando dissi una volta che nell’anno 1956 verrebbe...
Giornalista. – Effettivamente, è venuto.
Fidel Castro. - Sì. Quando dissi quella che se entro due settimane Batista non aveva rinunciato saremmo venuti a Cuba, arrivammo lo stesso giorno. Così, penso che ho tenuto la parola. Però, guardi, questa volta è difficile di dire che arriverò mercoledì. Credo che arriverò mercoledì.
Giornalista. – Beh, se non è mercoledì sarà giovedì.
Fidel Castro. – Perché sebbene le dettature non possono resistere a nessuno, al popolo non c’è chi possa resistergli, capisce? Ed il popolo è in marcia e devo riceverlo. Questa volta non posso assicurare nulla, non posso assicurare il giorno perché il popolo è di mezzo.
Comunque mi auguro, con la collaborazione del popolo, di arrivare mercoledì all’Avana. Devono capire, inoltre, che tutti i nostri uomini stanno facendo uno sforzo straordinario; si spostano in camion, non c’è comfort, ore e ore camminando lentamente, in piedi; e noi tutti siamo senza dormire, credo che abbiamo imparato a non dormire.
Giornalista. – Avete imparato una cosa straordinaria (Risate).
Fidel Castro. – E abbiamo, più che il desiderio, la necessità di riposarci. D’altra parte so che non riposeremo. Al meno io so che non mi riposerò.
Giornalista. - All’Avana non potrà riposarsi perché là, le dimostrazioni di gioia saranno uguali a quelle degli altri luoghi...
Fidel Castro. – Comunque ho la speranza che i miei uomini possano riposarsi. Lei può capire la gioia con la quale marciano verso L’Avana, perché quasi tutti sono contadini della Sierra Maestra e vedono L’Avana quasi come la culminazione di quei sonni, certo? E marciano con molto entusiasmo... Per quello resistono, sono ammucchiati nei camion, senza comfort e nessuno si lamenta. E poi, è molto difficile mantenere la marcia, l’ordine della colonna, tutto, perché ci sono dei veicoli dappertutto, c’è il popolo dappertutto, e io dico, meno male che non dobbiamo combattere, perché se si chiedeva di sparare con un mortaio si sarebbe sparato un “flash” da un Giornalista (Risate). Adesso non so più se colui che è a mio fianco è un militare, un ribelle o un giornalista, oppure se si tratta dell’operatore del cannone, del carro armato, non so. E’ una concomitanza tremenda...
Giornalista. – Di tutto il popolo, cooperando con questa Rivoluzione.
Fidel Castro. – Ovviamente, con molto piacere aiutiamo ai giornalisti.
Giornalista. - A proposito di questo, Lei sa che noi abbiamo bisogno di un aereo per ritornare immediatamente all’Avana per portare tutta questa informazione alla CMQ ed a Radio Reloj e a tutti gli emittenti, allora, dica ai comandanti, agli amici, di trovarci un aereo...
Fidel Castro. – Senta, mi lasci dire: noi tutti, onestamente, essendo uomini che non siamo spinti dall’ambizione, né l’ambiguità, ne l’inganno, sappiamo che contiamo sull’appoggio della stampa, e abbiamo lottato perché non ci sia più censura a Cuba, e non ci sarà più censura. Poi, quello che faremo per la stampa, non si potrà capire che abbia per oggetto conquistare la stampa, la stampa è assieme alla Rivoluzione.
Giornalista. - Ovviamente...
Fidel Castro. - Adesso, sempre, alla Sierra Maestra, ovunque sia, in qualsiasi circostanza, i giornalisti cubani e stranieri hanno ricevuto una maggior attenzione dalla nostra parte, e continuerà ad essere così. Tutte le facilità perché siamo consapevoli di quanto possono aiutarci i giornalisti nel compito rivoluzionario. Ci hanno aiutato a ottenere il trionfo; adesso devono aiutarci nella parte più difficile, che è la pace; fare ciò che si deve fare e che prenderà anche del tempo e ci saranno molte difficoltà. E’ necessario che, tenendo presente le buone intenzioni dei rivoluzionari, ci aiutino.
Noi, dalla nostra parte, vi aiuteremo. Innanzitutto difendendo la liberta con il nostro sangue, con le nostre vite; e poi, dandovi tutte le facilita in tutte le circostanze perché informino il popolo. Non faremo con questo un favore alla stampa ma al popolo, che è interessato a tutte le cose e che vuole essere orientato per bene. Questo è un popolo tanto intelligente e tanto sveglio, che solo necessita conoscere l’informazione di ciò che succede; le conclusioni le tira lui.
Giornalista. - Effettivamente, intelligentemente.
Beh, non gli prendiamo più tempo, che Lei ha molti compiti urgenti da compiere. Auguri e ci vediamo all’Avana.
Fidel Castro. - Mi saluti i colleghi della CMQ, e oltre a tutta la nostra gratitudine nei confronti di tutti gli emittenti radio, anche specialmente in questo caso vorrei —visto che si tratta di un programma della CMQ— ringraziare l’impresa ed i suoi dipendenti per tutto ciò che hanno fatto.
Giornalista. - La ringraziamo della sua gentilezza di averci concesso questi minuti.
Grazie mille, Comandante.