Illuminati dai raggi dell’aurora
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Una collega scrive su Fidel: «Non accettò mai la sconfitta»; e il pensiero va verso le ragioni che fecero di questa sua caratteristica, lontana da sterili ostinazioni, la condizione per trasformare l’utopia in materia palpabile.
Non è che non affrontò avversità nella sua lunga vita di combattente e di statista; le ebbe e molte – basti ricordare la perdita dei suoi compagni moncadisti, Alegría de Pío, la caduta di valorosi guerriglieri, la scomparsa di Camilo, l’invasione di Playa Girón, la Crisi d’Ottobre, il ciclone Flora, l’assassinio del Che, il crollo del campo socialista, il periodo speciale…–; ma sapeva vedere dopo il doloroso saldo di tutte le perdite, la genuina possibilità della vittoria e l’imperativo di non perdere mai l’onore.
Non era ottimismo gratuito, ma convinzione della giustizia della causa, della sua difesa e della responsabilità storica che porta sulle spalle il popolo cubano da quando ha scelto la stella, al di sopra del giogo.
Senza dubbio, un passo più avanti, il Comandante fomentava la vera fiducia nel popolo cubano, nella sua intelligenza e il suo talento, nella sua capacità di protagonizzare le più impensabili prodezze : «Non sono stati invano gli sforzi che ha fatto il popolo, né i sacrifici che ha fatto il popolo, e se lo ha fatto una volta per conquistare il potere, lo farà quante volte sarà necessario per difenderlo».
La sua visione del paese non si sosteneva su personalismi ma nella sua maniera di vedere e potenziate questa «cosa» che ha l’Isola – cioè la sua gente – inesplicabile per alcuni, e che la fa ribelle, persistente nonostante le difficoltà, quando sembra che già non ci sono uscite, Cuba si reinventa.
«Affrontiamo le nostre difficoltà e le nostre carenze con dignità, con la dignità di quelli che non si metteranno mai in ginocchio», diceva e anche che «tra tutti e a tutti è toccato molto onore, molta gloria, molta dignità. E a tutti noi è toccato il diritto al futuro e siamo tutti illuminati dai raggi dell’aurora».
Se le sue parole sembrano pronunciate per l’oggi, è perchè conosceva bene le viscere dell’ambizione nemica e la linfa della nazione cubana: «La speranza del nemico è che le nostre grandi difficoltà materiali rammolliscano il popolo e lo mettano in ginocchio.
Questi sono i sogni dell’imperialismo, ma sottovalutano i poderosi valori morali, i poderosi valori intellettuali e le poderose idee su cui conta il nostro popolo».
Non avremmo problemi, segnalava, se la politica del Governo e della Rivoluzione fosse stata la stessa politica di resa che la precedette; il prezzo dell’autodeterminazione è stato molto elevato, come quello di quasi tutti i sogni che valgono la pena.
Ma allertava anche sulle nostre deficienze, perchè la forza della Rivoluzione, il suo avanzare dipenderà da noi stessi:
«Le difficoltà maggiori o minori che avrà la Rivoluzione dipenderanno solamente da noi stessi; perchè le difficoltà che pone il nemico sono molto logiche, ma sono davvero assurde le difficoltà che molte volte con la nostra incomprensione e la nostra insensatezza poniamo contro noi stessi, e contro queste si deve lottare in tutti gli angoli del paese».
Il suo richiamo era incontrare in ognuno le soluzioni, così come credeva che quelli di qui potevano creare, per esempio, il proprio computer o le proprie vaccinazioni.
Il pensiero del Comandante in Capo fonte viva e gli insegnamenti che emanavano da lui devono servire per affratellarci con la volontà dicoloro chemanao e fondanao.
È lecito pensare «cosa farebbe Fidel oggi?», ma lontani dal rifugiarsi in lui «se ci fosse», dovremmo chiederci «cosa faremo?», e questa è la sola forma per assicurarci che è sempre qui tra le figlie e i figli di una Patria che nemmeno, mai, ha accettato la sconfitta•.