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Fidel e l’impossibile

Fecha: 

24/11/2017

Fuente: 

Periódico Granma

Autor: 

Una montagna slittò spettacolarmente, seppellì un insediamento e bloccò il fiume Guamá che formò un’immensa laguna tra le colline di Pinalito, a Guisa. Un nuovo slittamento minacciava di portar via un altro pezzo di Sierra Maestra, ma gli haitiani e i giamaicani rifiutavano d’abbandonare
le loro capanne che erano restate in piedi dopo il passaggio dell’uragano Flora, nei primi giorni dell’ottobre del 1963.
Dice Marta Rojas, la giornalista del quotidiano Revolución, che il leader alzò lo sguardo e lo fissò nel secolo precedente, per lo meno.
Gli antillani –c’erano anche barbadensi e trinitari in quell’insediamento–, che lavoravano per una miseria tagliando le canne da zucchero e al raccolto del caffè della zona, avevano più paura della deportazione che degli uragani e dello slittamento della montagna.
Lì, al bordo del precipizio, Fidel si avvicinò alla yeep, prese il telefono portatile che si attivava con una maniglia, e dall’altro lato del filo ci doveva essere il ministro del Lavoro, Augusto Martínez Sánchez.
Il capo della Rivoluzione diede istruzioni precise per far sì che quei lavoratori ricevessero i benefici della sicurezza sociale e si mettesse fine alla condizione di paria.
«Usate la Ramac», propose Fidel.
Fu la prima volta che Marta Rojas, Eroina del Lavoro e Premio Nazionale di Giornalismo  «José Martí», sentì quella parola che suonava come uno stridore.
La «Ramac 305», era uno dei primi computers fabbricati nel mondo, con dischi magnetici, ed era stata comprata dal dittatore Fulgencio Batista. Era giunta in nave a Cuba, proveniente dal Messico, nel 1959.
Non tardò ad essere nazionalizzata, con l’ufficio e i servizi della ditta IBM, fabbricata con la mole d’una tonnellata.  Necessitava una stanza solo per lei con tre arie condizionate e passò immediatamente a processare i dati dell’elenco dei più poveri tra i poveri, gli antillani dispersi e dimenticati della costa dei Caraibi dell’Isola.
II Fidel conosceva i piani supersegreti dell’Agenzia dei Progetti d’Investigazione  Avanzata (ARPA), del Pentagono, che condussero nel 1969 alla creazione della prima grande rete di computers, madre di  Internet? O li presentì?
Il 19 aprile del 1965, nella manifestazione di commemorazione della  Vittoria di Playa Girón, nel Teatro «Chaplin», sfidò il settore guerrerista statunitense che «lavora  con cervelli elettronici, con dati, con cifre, con computers di ogni tipo (…). Ma c’è qualcosa  che i cervelli elettronici del Pentagono non possono misurare, c’è qualcosa che i loro computers non possono calcolare e questo è: la dignità, la morale e lo spirito rivoluzionario del nostro popolo».
III Cuba costruì il primo prototipo di micro-computer che se conobbe nel Terzo Mondo, la CID-201. Utilizzava cassette  come unità di memoria esterna, soluzione  anticipata di cinque anni ai primi standars riportati dalla bibliografia mondiale.
La storia di quella creatura la descrive, in un libro, il Dottor José Miyar Barruecos, Chomi –medico ribelle, fondatore del Servizio Medico Sociale, ex Rettore dell’Università de L’Avana e segretario di Fidel per circa quattro decenni.
Nel  1965, visitò Cuba un’eminenza mondiale nel campo delle   neuroscienze, il nordamericano Erwin Roy John. Affascinato dall’Isola e con i suoi scienziati, accettò un nuovo invito, nel 1969, per presiedere il tribunale di difesa della Tesi di Dottorato de Thalia Harmony, capo del Dipartimento di Neurofisiologia dell’allora recentemente inaugurato Centro Nazionale delle Investigazioni Scientifiche (CNIC). Non venne con le mani vuote stavolta.
Gli regalò un computer per lo studio del cervello (la CAT-400C) con la dedica: «Al popolo cubano dai suoi amici nordamericani».
Dopo l’azione di scambio, Fidel e Roy conversarono dalle 22.00 alle  5:15 del giorno dopo.  «Dei molti temi trattati – scrive Chomi– uno in particolare spiccò ed era la convinzione del compagno Fidel che l’introduzione dei computers digitali in tutti gli aspetti della vita di un paese era un requisito per lo sviluppo sociale».
Fidel sognava di con fabbricare un computer cubano, ma Roy John non lo credeva possibile. Dato che le lunghe mani del blocco statunitense non permettevano ai cubani di acquistare le componenti, gli propose un piano più modesto e realista: produrre calcolatrici.
In segreto, il Comandante in Capo aveva già mobilitato un gruppo di «ragazzi» e professori della Cujae, guidati dagli ingegneri Luis Carrasco e Orlando Ramos, che poi fondarono il Centro delle Investigazioni Digitali (CID), ascritto all’Università de L’Avana.
Carrasco e Ramos viaggiarono in Europa e Giappone per acquistare, in centri commerciali economici, le componenti.
L’ingegnere Rafael Valls sviluppò il software per una finale di scacchi con re, torri, alfieri e alcuni pedoni, che permettevano il gioco di una persona con il  micro-computer e che mostrava chiaramente le sue possibilità e funzionamento. Il 18 aprile de 1970 il Capo della Rivoluzione affrontò  la CID-201. Battagliò più di un’ora con la macchina ma, dato che Fidel non accettò mai la sconfitta, la lasciò in pace solo quando le diede scacco matto  al re.
 
IV
Uno dei pionieri dell’avventura della CID-201, Tomás Jiménez Lorenzo, conservò per anni le note dei suoi incontri con Fidel. Nelle visite al Centro d’Investigazione Digitale, il leader rivoluzionario sognava con la possibilità che ogni cubano avesse un computer, e che tutti quelli che lo desideravano potessero apprendere il loro meccanismo interno e riprodurlo.
Potrebbe sembrare un delirio in un altro che non fosse il leader cubano. Secondo il Museo della Storia della Computazione, la maggioranza dei  computers che si commerciavano al principio dei decennio dei ’70 erano sempre come la Ramac, pantagruelici.
Nel  1971 si produsse il Kenbak-1, considerato il primo computer personale del mondo, che vendette solo 40 macchine prima di terminare la produzione nel 1972.   
Senza dubbio in quello stesso anno, durante una delle sue numerose visiste notturne ai «ragazzi» del CID, Fidel fece loro questa domanda insolita:
«…Compagni, sono venuto quí dopo che ho visto quel computer–si riferiva al IRIS 50, il più moderno prodotto in Francia e comprato da Cuba–, donde quasi non si può entrare, dove il popolo non ha accesso, per chiedervi di fare molti computers, per far sì che il popolo, gli studenti vi possano avere accesso, studiarli, apprendere la computazione. Siamo un paese senza risorse naturali, ma abbiamo una risorsa molto importante, l’intelligenza del cubano e la dobbiamo sviluppare La computazione ottiene questo e sono convinto che noi cubani abbiamo un’intelligenza speciale per dominare la computazione».
 
V
Quello che viene dopo è più noto: il suggerimento di decine di centri scientifici che non avevano niente da invidiare ai loro pari nel mondo; l’apertura di una fabbrica di mini computer nella Scuola Vocazionale V.I. Lenin; l’impulso delle cattedre e le carriere d’Informatica e dell’industria elettronica; i Joven Club e i Palazzi dicomputazione , la rete Infomed, che nacque con un’architettura simile a quella di Facebook, cinque anni prima della  plataforma statunitense; l’Università di Scienze Informatiche, quando esisteva solo un piccolo grupo di città intelligenti nel pianeta dedicate esclusivamente alla formazione, investigazione e produzione di strumenti digitali; i laboratori di computazione in tutte le scuole, anche in quelle con un solo bambino nelle montagne; il supporto ai giornalisti, quando ci disse in un Congresso, pensando ai differenti termini di comunicare le idee nell’ era globale: «La Internet sembra inventato per noi»…
Ci sono mille fatti, aneddoti, discorsi, fotografie e immagini e immagini vincolate a questa matassa di fili e di argomenti che spiegano perchè lui disse che Qualsiasi suo contemporaneo e le generazioni che verranno, incontreranno i propri filamenti emozionali, storici, sociali e spirituali che rendono evidente la coerenza tra queste parole e la vita di Fidel, come ci avviene con   Martí.
Ma dall’orizzonte di questi flash della memoria sullo sviluppo della computazione e l’Internet in Cuba ci sono chiavi fideliste che permettono di sfidare la forza bruta del potere: avere coscienza che gli ultimi, come questi  antillanos di Pinalito, devono sempre essere i primi.
Riconoscere che una Rivoluzione può chiamarsi tale solo se è per: «i nessuno, i figli di nessuno, i padroni di niente», meritevoli dell’accesso alle grandi meraviglie umane e anche di un viaggio nel cosmo.
E, ovviamente, comprendere che solo l’impossibile può aiutare a far sì che il possibile si apra il passo.