Fidel Castro, l’avvocato delle giuste cause
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Fidel Castro con la toga durante il processo contro Emilio «Millo»Ochoa, il 12 settembre del 1952. Foto: Ufficio dei Temi Storici
Fidel Castro è uno dei politici più importanti della seconda metà del xx secolo. È il leader che ha guidato la lotta rivoluzionaria contro una dittatura, e ha condotto la Rivoluzione trionfante per i cammini del socialismo, sfidando la principale potenza imperialista della sua epoca.
Ma dietro al genio politico c’era un giovane che si laureò e che esercitò l’avvocatura, e quello fu vitale per la formazione del suo pensiero politico.
AVVOCATO PER VOCAZIONE?
Il primo riferimento alla sua inclinazione per l’avvocatura risale al suo ultimo anno nel Colegio di Belén, quando la rivista della scuola, nel luglio del 1945, pubblicò: «Partecipa a un dibattito parlamentare relazionato a un progetto di legge sull’insegnamento, presentato al Congresso della Repubblica. Fidel, come alunno pre-universitario di Lettere Letras, interviene spiegando le differenze del ruolo dello Stato nell’istituzione privata in diversi paesi».
In varie occasioni espresse la sua inclinazione per altre scienze e che lo studio delle leggi non figurava tra le sue preferenze : «In realtà,
devo dire che io ero migliore in Matematica che in Grammatica.
L’incontravo più logica, più esatta. Ho studiato Diritto perchè discutevo molto e tutti affermavano che sarei diventato un avvocato (…)».
Entrò nell’Università de L’Avana il 4 settembre del 1945 come aspirante al titolo di Dottore in Diritto e Ragioniere Pubblico. Il 5
settembre del 1950 difese la sua tesi di laurea e ottenne eccellente.
Nello stesso mese convinse due compagni di studio, Jorge Azpiazo Núñez de Villavicencio e Rafael Resende Vigoa, ad aprire uno studio e iniziarsi nel mondo delle toghe e la bilancia. Scelsero un locale ne L’Avana Vecchia che allora conservava parte del potere politico e imprenditoriale del paese, cosa che facilitava il loro sviluppo come giuristi.
Il 10 novembre del 1950 si registra nel Collegio degli Avvocati de L’avana e i tre amici aprono lo studio Azpiazo-Castro-Resende, ubicato in Tejadillo 57, appartamento 204.
Così cominciò l’attività professionale del giovane Fidel Castro Ruz, e con lei gli si aperse una tappa di maggior avvicinamento alla realtà del paese, palpò le necessità dei settori più umili e vide personalmente le ingiustizie della sua epoca.
UN AVVOCATO DIFFERENTE
La pratica di una delle professioni meglio pagate della società prometteva loro un futuro prospero. Ma gli interessi del giovane di Birán non guardavano da che lato si viveva meglio ma da che lato stava il dovere.
Si rese conto che essere un avvocato gli conferiva un’arma poderosa: quella d’operare con giustizia in nome dela legge.
Il giovane di Tejadillo era lontano dall’essere un avvocato tradizionale.
I processi giudiziari nei quali s’impegnò svelano che divenne essenzialmente un avvocato politico, uno che usò la toga come un’arma di lotta rivoluzionaria contro il decadente regime del paese.
Difese cause nelle quali si scoprivano la corruzione, il cattivo maneggio dei monopoli, le debolezze del sistema politico e giudiziario.
Fidel toccava una piaga che conveniva premere a pochi, e anche in quello si basava la sua strategia, nella denuncia pubblica e nella mobilitazione politica, due armi che i regimi dell’epoca temevano.
Le vittime della corruzione e dell’abuso istituzionale furono le sue fonti principali contro il sistema politico e necessitavano una consulenza legale che non potevano pagare.
Decenni dopo ricordava: « (…) Ho difeso diverse cause di gente povera. Quando esisteva un problema serio di terre, di gente che volevano sfrattare, io li rappresentavo e parlavo con loro, organizzavo l’agitazione politica, la denuncia. Li portavo a un piano politico e a un piano pubblico; non seguívo precisamente il metodo tradizionale, lo stile giuridico. Difendevo la gente con argomenti non strettamente legali, perché dalla legalità, al meglio, li potevano mandar via, sfrattare, ma nello stesso tempo si commetteva un abuso di potere, un’azione disumana, un’azione ingiusta».
Per quello non ebbe timore a denunciare il monopolio Cuban Telephone Company; a denunciare il capo della Polizía Nazionale, Rafael Casals, per
l’assassinio dell’operaio Carlos Rodríguez Rodríguez; a difendere gli abitanti dei quartieri La Timba, La Corea e La Pelusa, di fronte alle minacce di sfratto per costruire la Piazza Civica; a denunciare pubblicamente e legalmente il presidente Carlos Prío, e successivamente il dittatore Fulgencio Batista.
LA LEGGE COME STRATEGIA RIVOLUZIONARIA
Nel 1951, l’ambiente politico in Cuba cominciò a entrare in effervescenza per la vicinanza delle elezioni generali del giugno del 1952. La stampa dell’epoca rifletteva gli ardenti confronti tra i differenti bandi politici.
Il suicidio del carismatico leader ortodosso Eduardo Chibás, nell’agosto del 1951, e virtuale vincitore, complicò la situazione politica del paese.
Per Fidel fu un periodo intenso. Si era presentato come candidato alla Camera dei Rappresentanti, e con frequenza ripartiva volantini, faceva discorsi nei miting, bussava alle porte dei suoi elettori e parlava alla radio.
Aveva definito una strategia nel caso di giungere al Parlamento e per lui il rispetto della legge era importante.
«Ho tracciato la strategia rompendo la disciplina del Partito.In virtù della Costituzione e delle leggi, pensavo di presentare un programma simile a quello della Moncada. Tutte le questioni vitali che ho esposto in /La storia mi assolverà/ sarebbero apparse in forma di leggi nel piano che avrei presentato in Parlamento con la sicurezza che quel progetto nel Partito sarebbe divenuto un programma di massa rivoluzionaria. Ossia, non sarebbe stato approvato, ma si sarebbe convertito nella piattaforma di mobilitazione di tutte le forze sociali e politiche, delle forze d’azione armata per far cadere quel governo».
Con la morte di Chibás, la principale forza politica del paese restò acefala e quello fu un fattore decisivo par far sì che Batista si decidesse per il colpo di Stato del 10 marzo del 1952.
Questo frustrò la strategia rivoluzionaria del giovane avvocato di Birán, che reagì condannando il colpo nell’articolo «Rivoluzione no! Colpaccio!», e successivamente denunciò il dittatore nel Tribunale d’Urgenza il 24 marzo.
Com’era previsto la sua domanda non fu ascoltata e il processo fu annullato. Cuba era cambiata dalla notte alla mattina e le vie legali e politiche si erano esaurite. Come disse Fidel: «Il momento è rivoluzionario e non politico».
Il cambiamento delle circostanze obbligò l’uomo della toga a imbracciare il fucile.
«Se di fronte a questa serie di reati flagranti e confessi di tradimenti e sedizione non si giudica e castiga, come potrà poi questo tribunale giudicare un cittadino per sedizione o ribellione contro questo regime illegale prodotto dal tradimento impunito...?
Si comprende che questo sarebbe assurdo, inammissibile, mostruoso, alla luce dei più elementari principi della giustizia».
Forse Batista non ebbe mai piena coscienza di quanto contribuì ad accelerare la situazione rivoluzionaria del paese, che non terminò sino al definitivo trionfo della Rivoluzione nel 1959 e della quale Fidel Castro fu la figura più alta.
Dopo i fatti della Moncada, Fidel non esercitò più la professione d’avvocato, anche se questa fu un pilastro fondamentale nella sua vita rivoluzionaria. Il senso della giustizia – valore che deve accompagnare ogni giurista – fu essenziale nella sua prassi politica.
Senza dubio questa tappa fu forte nella sua formazione rivoluzionaria e nella radicalizzazione del suo pensiero, di più se di considera che si trattava di un giovane di poco più di 20 anni.
La creazione del sistema giudiziario del paese, dopo il 1959, non si può spiegare senza la sapiente conduzione, le conoscenze e l’esperienza di Fidel Castro. Dietro alla conformazione dei Tribunali Popolari, gli studi collettivi, il reclamo dell’illegale base Base Navale di Guantánamo o la difesa delle cause giuste nel mondo, c’è il pensiero giuridico di Fidel Castro.