La strategia del Moncada: Intervista con la televisione svedese.
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Per la prima volta in forma stampata CUBA International offre un'ampia selezione dei colloqui, dove Fidel Castro racconta la propria evoluzione politica e fa interessanti dichiarazioni sulle azioni storiche di cui è stato promotore e guida. Il Presidente del Consiglio di Stato cubano fece un tour per le zone orientali del paese, dove più di vent'anni fa ebbero luogo i fatti che hanno dato origine alla Rivoluzione. Nell’antica caserma Moncada, la spiaggia Las Coloradas, le regioni di montagna del Pico Turquino e La Plata, Fidel parlò ampiamente con i giornalisti svedesi che l’accompagnavano, i quali hanno girato per la televisione del loro paese il dialogo, i cui frammenti più importanti sono riprodotte in questa edizione, che fa iniziare l'anno in cui si commemora il venticinquesimo anniversario dell'assalto alla caserma Moncada.
I GLI ORIGINI
La coscienza dell'uomo si può sollevare sopra la classe di provenienza.
GIORNALISTA: Comandante, Lei ieri nella fattoria Siboney ci ha parlato della sua formazione ideologica, della sua evoluzione ideologica e politica nei tempi dell'Università. Volevo farle una domanda su un periodo precedente, in altre parole, com’è passato da quel tipo d’istruzione che lei ricevette in quel tipo di famiglia fino a quell’evoluzione ideologica, perché nel discorso agli intellettuali che Lei hai fatto, utilizzata un'immagine molto forte, molto viva, affermando che l'educazione borghese era come un mulino di pietra, che quasi poteva triturarci mentalmente per sempre. Questo ha catturato la mia attenzione, abbiamo voluto chiedergli qualcosa al riguardo.
COMANDANTE IN CAPO FIDEL CASTRO: In realtà, la mia origine... Io sono nato in una famiglia di proprietari terrieri, ma non aveva una stirpe di proprietari terrieri. Cosa vuol dire questo? Mio padre era un contadino spagnolo di famiglia modesta, che arriva a Cuba all'inizio del secolo come emigrante spagnolo.
Inizia a lavorare in condizioni difficili. Era un uomo intraprendente, cominciò a sovrastare, arrivò ad occupare una posizione di leader nei lavori di principio del secolo. Accumulò qualche soldo e cominciò ad acquisire alcuni terreni. In pratica, ebbe successo negli affari e arrivò a essere proprietario di una quantità di terra, se non ricordo male di circa mille ettari. Cosa non molto difficile nei primi giorni della Repubblica. Poi affittò altri terreni. Quando io nasco, veramente nasco in una famiglia che potremmo chiamare di proprietari terrieri.
Ora, invece, mia madre era una contadina molto umile, molto povera. Perciò non c'erano le tradizioni di quello che si potrebbe chiamare un'oligarchia nel seno della mia famiglia. Comunque, obiettivamente, la nostra posizione sociale in quel momento era una famiglia che aveva risorse economiche relativamente abbondanti. Era proprietaria di terreni e aveva tutte le comodità – si potrebbe dire – e i privilegi di una famiglia di proprietari terrieri nel nostro paese.
Nell’infanzia
La mia educazione nei primi anni, i primi mesi quasi potremmo dire... Io imparai a leggere e scrivere nella scuola pubblica del posto dove nacqui, nella campagna. Più tardi mi portarono a Santiago de Cuba quando avevo appena 5 o 6 anni. È stata dura, ho sofferto la fame; ho sofferto la fame nonostante la mia famiglia inviava dei soldi alla pensione dove ero a Santiago de Cuba, ma da una serie di circostanze, eravamo un gruppo relativamente grande di ragazzi lì, è stato un periodo molto duro per noi.
GIORNALISTA: Cioè, che non ha avuto un'infanzia davvero privilegiata.
FIDEL: Quando era a casa mia sì, quando mi hanno trasferito a Santiago no. Posso dire che ho sofferto la fame, che ero in pratica a piedi nudi, che io stesso ho dovuto cucire le mie scarpe quando si rompevano.
GIORNALISTA: Questo spiega molte cose.
FIDEL: Sono stato in quella situazione poco più di un anno. Si può dire che in quell'occasione ho conosciuto la povertà.
Può aver influenzato in me? Davvero non lo so, non posso assicurarlo. Dopo di tutto questo mi sono internato... Sono stato inviato a una scuola privata di Santiago de Cuba che era governata da un ordine religioso, i Fratelli La Salle. Lì ci sono stato circa cinque anni scolastici. Poi sono stato inviato a una scuola dei gesuiti. E così ho eseguito la scuola elementare e tutta la scuola media, in scuole di questo tipo. Erano scuole di famiglie relativamente privilegiate.
Ora, alcuni fattori hanno contribuito a sviluppare in me un vero spirito di ribellione. Potremmo dire che mi sono ribellato in primo luogo contro le condizioni ingiuste nella casa di famiglia dove sono stato ai 5 anni. Nelle proprie scuole dove sono stato inviato, ho sentito anche una spinta di ribellione contro certe ingiustizie nella scuola.
Si può dire che durante il periodo della mia infanzia, circa tre volte ho avuto la sensazione di cose che sembravano ingiuste e che hanno stimolato in me un senso di ribellione. Questi fattori possono aver contribuito a sviluppare un carattere relativamente ribelle. Questo spirito di ribellione può essere stato manifestato anche dopo nella mia vita successiva.
Le mie relazioni sociali da ragazzo, durante le vacanze scolastiche, erano con i bambini molto poveri del posto dove abitavo.
GIORNALISTA: Comandante, Lei vorrebbe parlare ancora su questo punto?
FIDEL: Posso dire che nonostante la situazione economica della mia famiglia, nella campagna dove sono nato mi sono sempre relazionato con i figli delle famiglie più povere, perché nella mia famiglia non c'era una tradizione aristocratica. Il processo della mia infanzia e della mia adolescenza mi portò più di una volta a adottare un atteggiamento d’opposizione e ribellione contro le cose che ritenevo ingiuste.
Anche se abbiamo ricevuto l’educazione propria di queste scuole private, nella nostra formazione c’è stata anche la preminenza d’alcuni principi di rettitudine.
Ora, in tutte quelle tappe della mia vita ho forse sviluppato un carattere, ho forse sviluppato uno spirito, ma ho non acquisito alcuna coscienza politica. La coscienza politica che mi aiutò a interpretare la vita, che mi aiutò a interpretare il mondo, che mi aiutò a interpretare la società e mi aiutò a interpretare la storia, l’ho acquistata come studente universitario. Soprattutto quando entrai in contatto con la letteratura marxista, che esercitò su di me una straordinaria influenza e mi aiutò a capire le cose che altrimenti non avrei capito mai.
Così, posso dire che la mia coscienza politica la ottenne dallo studio, analisi, osservazione; non dalla classe da cui provenivo. Ma non credo in nessun modo che l'origine sia un fattore insuperabile, penso che la coscienza dell'uomo si possa elevare sopra la sua origine.
Durante la giornata studentesca di rivendicazione della storica campana di La Demajagua nel 1948.
II IL MONCADA
DALLA CASERMA ALLE MONTAGNE
Scegliemmo questo luogo, perché dovevamo trovare un punto dove concentrare le persone prima dell'attacco alla caserma Moncada. Quindi studiamo i diversi indirizzi. E cercando, trovammo questa casa in affitto, con un piccolo appezzamento di terra. E poi, analizzati tutti i fattori, decidemmo scegliere questa casa, che distava alcune miglia dalla caserma per una strada abbastanza dritta.
La casa è stata affittata, ma abbiamo dovuto trovare qualcosa per mascherare questo. Il piano che abbiamo ideato è stato simulare una fattoria di pollame, ecco perché voi vedete alcune di questi impianti, che sembrano strutture per il pollame, ma in realtà hanno servito a nascondere le automobili. Allora alcuni mesi prima affittammo questa casa. Si preparò con alcune cose aggiuntive con il pretesto che si trattava di una fattoria di pollame.
GIORNALISTA: È vero che vicino alla casa abitava di uno dei militari di Batista, che questo diminuiva, in qualche modo, il sospetto?
FIDEL: È possibile. Ma non è stato questo il fattore principale: il fattore principale è che era isolata, che era su quella strada che portava direttamente alle vicinanze della caserma, ed era uno dei posti disponibili, perché non era facile trovare una casa.
Quindi, questa casa è servita in primo luogo, per concentrare le armi e, infine, per concentrare il personale. Questo doveva essere fatto in condizioni di clandestinità. Perciò dovevano prendersi tutte le misure di sicurezza. C'era anche un vicino che viveva lì, di fronte a questa casa, un contadino. Abbiamo pure fatto amicizia con lui, ma non sospettò mai che questa casa aveva uno scopo rivoluzionario. C'era un collega del Movimento che viveva a Santiago de Cuba, era l'unico di Santiago de Cuba, perché non abbiamo voluto reclutare persone di Santiago per ridurre il rischio di qualche indiscrezione. Per questo motivo, a Santiago avevamo solo un leader che aiutò con l’affitto della casa; per questa casa venne dopo uno dei leader del Movimento, e si stabilì qui a Santiago de Cuba. E per alcune settimane abbiamo concentrato qui le armi.
GIORNALISTA: Ma nessuno degli assalitori sapeva davvero l'obiettivo fino all'ultimo momento.
FIDEL: No. La Direzione del Movimento sì, un gruppo di tre compagni, che era una sorta di amministrazione della Direzione del Movimento. E il compagno di Santiago aveva anche un’idea dell'obiettivo, poiché gli fu data l’istruzione di osservare la caserma, di fare un’esplorazione sulla caserma.
GIORNALISTA: Da lì partirono i veicoli che andarono ad attaccare la caserma.
FIDEL: Da qui, sì. Qui si concentrarono le armi. Il 26 luglio era domenica, e dal sabato sera si furono concentrati qui in questa casa.
GIORNALISTA: E il percorso è più o meno il medesimo?
FIDEL: Il percorso è di diversi chilometri, ora non ricordo esattamente quanti. Questa strada si alza in un viale, il viale nella caserma, e tatticamente era il miglior posto per quell'operazione. Qui tutto era dissimulato sotto il pretesto che si stava creando una fattoria di pollame. E veramente tutti hanno creduto che c’era una fattoria di pollame, almeno alcuni vicini che abitavano di fronte alla casa. E lì avita ancora, da quelle parti, il vicino che in quei giorni abitava di fronte a questa casa.
C’erano alcune piante di mango… Non so se dopo hanno piantato alcune; ma in generale questa era l'atmosfera della casa.
GIORNALISTA: Ma qui non si è stato fatto nessun addestramento qui è stata fatta soltanto la concentrazione.
FIDEL: Qui non si poteva fare nessun addestramento perché era molto rischioso. L’addestramento l’abbiamo fatto all’Avana. Qui soltanto s’immagazzinarono le armi e c’era una sola persona a Santiago de Cuba che sapeva di questa casa. Nonostante Santiago de Cuba era una città molto ribelle, molto rivoluzionaria, noi, per salvare la discrezione del piano, non reclutammo nessuna persona da Santiago per l'assalto.
GIORNALISTA: Nonostante tutto, una delle cose più ammirevoli del Movimento, che ora rifletté la storia, fu come si mantenne quell'organizzazione clandestina sotto un regime di tale repressione, un’organizzazione così ampia.
FIDEL: Era molto difficile, era davvero difficile, visto che a quel tempo i rivoluzionari non avevano nessun’organizzazione, non avevano alcun’esperienza militare.
GIORNALISTA: Per il 26 l’avevate.
FIDEL: Beh, noi... C'erano diverse persone organizzandosi in quel periodo. Penso che il nostro gruppo a quel tempo reclutò più combattenti rispetto a tutte le altre organizzazioni. Inoltre, era un gruppo molto discreto; ma, era anche discreto non solo per la qualità delle persone, ma per il metodo d’organizzazione che avevamo. Eravamo organizzati in cellule. Tra le cellule non c’era nessun contatto. Il gruppo direttivo era di molta fiducia, e seguivamo le regole della clandestinità. Perché in quel momento c'erano molti rivoluzionari e parlavano e conversavano. Erano indiscreti. Quasi tutto quanto si faceva contro Batista era conosciuto.
GIORNALISTA: E tutta l'importazione d’armi della gente di Prío e tutto quello che stavano facendo…
FIDEL: Sì. Perché la gente di Prío aveva denaro e noi non l’avevamo. Loro avevano armi e noi no. Pertanto, noi dovevamo fare le cose con molta attenzione. Loro facevano propaganda con le armi. Se potrebbe dire che facevano politica con le armi.
GIORNALISTA: E non avete potuto ottenere quelle armi?
FIDEL: In realtà, cerchiamo di ottenere alcune. E noi avevamo filtrato la loro organizzazione. Avevamo 360 uomini infiltrati nella loro organizzazione, con lo scopo di cercare di prendere le armi. Ma sembra che il nostro piano sia stato troppo ambizioso, e ad un certo punto loro hanno sospettato un po’ di quelle persone.
GIORNALISTA: Ma tutti i ritrovamenti d’armi che faceva la polizia Batista a quel tempo erano...
FIDEL: Erano armi di loro, dell’antico governo, che aveva molto denaro, perché aveva rubato molto.
GIORNALISTA: Ma erano armi piantate da loro stessi in alcune occasioni, dalla polizia, pacchetti con...
FIDEL: No, credo di no. I leader dei partiti politici tradizionali e del governo che era al potere, che era stato cacciato da Batista, avevano molti soldi. E comprarono armi e hanno potuto inserirle nel paese da modi abbastanza geniali, l’hanno fatto. Loro non avevano favoreggiatori, loro non avevano combattenti; avevano soldi, avevano armi, ma non avevano uomini. E loro cercavano di fare uno sforzo per reclutare gente del popolo. E durante quel periodo noi cerchiamo di filtrare alcune persone nelle loro organizzazioni, con lo scopo di occupare le armi.
GIORNALISTA: Ma già all’epoca il movimento aveva abbastanza effettivi…
FIDEL: Beh, noi arriviamo a addestrare più di mille uomini. In quell’epoca noi avevamo circa milleduecento uomini.
GIORNALISTA: Ma oltre agli addestrati, l'organizzazione era abbastanza ampia?
FIDEL: Non era tanto ampia, non era molto ampia, anche se la sua base era la base di opposizione e d’odio contro il regime di Batista. Ma gli attivisti, gli uomini addestrati e organizzati arrivarono a essere circa duecentomila uomini, perché c'era un'opposizione al governo Batista abbastanza diffusa. Molti di loro erano d’origine ortodossa, molti dei combattenti del Moncada, ma erano persone di bassa estrazione; cioè, era un'organizzazione al margine di quei partiti politici. Io selezionai le persone, soprattutto tra i settori umili del popolo. La nostra gente è stata selezionata nei settori umili del popolo, tra chi aveva un atteggiamento d’opposizione a Batista.
GIORNALISTA: Ma molti militanti del Movimento, avevo capito venivano dall’ortodossia...
FIDEL: Provenivano dall'ortodossia perché era un partito popolare con abbastanza ascendenza nel popolo, ma un po’ eterogeneo. Il Partito Ortodosso era composto principalmente da gente umile, operai, contadini e persone della piccola borghesia. A quel tempo l’alta direzione di quel partito era nelle mani di persone ormai della classe dominante, veramente.
In uno dei tanti scontri degli studenti con le forze repressive, Fidel affronta il capo della polizia in servizio.
GIORNALISTA: E i giovani del partito dove Lei era un membro attivo...
FIDEL: C’èra una gioventù combattiva, ma i leader ufficiali del partito erano già più o meno compromessi, non dirò con una posizione di classe bensì, possiamo dire, si stavano adeguando al sistema. Io organizzo la gioventù di quel partito, ma a parte della... ufficiale. Io fecce un lavoro alla base con i giovani, soprattutto con quelli d’umile estrazione. Non c’era nessun leader ufficiale di quel partito nella nostra organizzazione. È stato un lavoro politico, ideologico, si è stato fatto….
FIDEL: Sì, era un lavoro politico-ideologico.
GIORNALISTA: Ma ancora non si parlava d’idee socialiste in quell’epoca.
FIDEL: Ancora non si parlava di socialista in quel momento. In quell’epoca si può dire che l'obiettivo principale del popolo era il rovesciamento di Batista. Ma già l'origine sociale di tutte le persone che noi reclutavamo, propiziava l’indottrinamento politico.
Almeno il gruppo, il piccolo gruppo che lavorò nell’organizzazione del Movimento era di persone d’idee molto avanzate. Frequentavamo corsi di marxismo. E il gruppo direttivo, durante questo periodo, studiammo marxismo. E si può dire che i principali leader dell'organizzazione erano già marxisti.
Dentro una concezione marxista
GIORNALISTA: Dopo la morte o il suicidio di Chibás aumentò, diciamo, la differenza tra i dirigenti del partito e la gioventù.
FIDEL: Io posso dire quanto segue: Chibás era un leader carismatico, con molto supporto popolare, ma non è stato caratterizzato da un programma di riforme sociali profonde. Diciamo che il suo programma all’epoca era rivolto ad alcune misure di tipo nazionalista contro i monopoli yankee, e principalmente misure contro la corruzione amministrativa, contro il furto. Era un programma costituzionalista, e combatteva in favore dell’ordine pubblico. Il programma di Chibás era tutt'altro che un programma socialista.
Posiamo rilevare che all’epoca questo programma rispondeva ai desideri della piccola borghesia, che già che aveva contraddizioni con l'imperialismo, che soffriva per l’eccessivo sfruttamento dei monopoli che esistevano nel paese, e la sua bandiera principale era la lotta contro la corruzione pubblica, contro il furto, contro l'appropriazione indebita. Ma già all'interno della massa di quel partito c’era una sinistra. Si potrebbe dire che noi eravamo la sinistra di quel partito. Non era molto numeroso, ma era composto da colleghi dell'Università, che all’Università avevano potuto avere un contatto con le idee socialiste, con il marxismo-leninismo, e avevamo già acquisito una consapevolezza politica molto più avanzata.
Così quando succede la morte di Chibás, c'era un gran partito di masse senza leader. E la direzione era una direzione riformista. E all'interno di quella massa c’era già un gruppo, e avevamo le idee molto più avanzate. In due parole: io in quel tempo, alla fine dei miei studi universitari, avevo già una concezione marxista della politica. Nei tempi dell’università, i miei contatti con le idee marxiste mi fecero acquisire una coscienza rivoluzionaria. Già da quel momento la strategia che avevo preparato politicamente era dentro una concezione marxista.
Quando avviene il Colpo di Stato del 10 marzo, io avevo già una formazione marxista. Ma ci siamo trovati ad affrontare la situazione di un paese dove si era prodotto un colpo di Stato, dove il partito aveva una base più popolare, era un partito mal guidato, senza orientamento. Ho avevo ormai un’idea rivoluzionaria pratica, concreta, prima del colpo di Stato del 10 marzo.
GIORNALISTA: E il PSP, il Partito Socialista Popolare, aveva qualche strategia elaborata?
FIDEL: Il Partito Socialista era piccolo, relativamente piccolo; per l'America Latina era un partito grande, ma era molto isolato. In quelle circostanze, tutto il periodo del maccartismo, dell’anticomunismo era riuscito, diciamo, a bloccare il Partito Comunista. Io non ero membro del Partito Comunista, perché per la mia formazione, la mia origine... Io arrivo, all'Università ed è all’Università dove acquisto una coscienza rivoluzionaria. Acquisto una coscienza rivoluzionaria, ma in quel momento ero già situato all'interno di un partito che non era un partito marxista, ma un partito populista, possiamo dire così. Ma vedo che quel partito ha una grande forza politica di masse, e allora comincio a preparare una strategia per portare le masse a una posizione rivoluzionaria, prima del colpo di Stato del 10 marzo. Avevo già la chiara idea che la rivoluzione doveva farsi con la presa di potere e il potere si prendeva rivoluzionariamente. Già in quel periodo, prima del colpo di Stato, io avevo acquisito tale convinzione.
Senza dubbi, prima del colpo di Stato la strategia che io personalmente avevo elaborato era una strategia secondo quelle circostanze. Era un momento politico, parlamentare. Allora io sono già dentro quel movimento. Le prime idee di una Rivoluzione io le concepisco anche dal Parlamento, ma non per farla attraverso il Parlamento. Ho pensato di usare il Parlamento per proporre un programma rivoluzionario.
GIORNALISTA: Perciò Lei si candidò?
FIDEL: Pensavo proprio di usare il Parlamento per proporre un programma rivoluzionario, e intorno a questo programma mobilitare le masse e andare verso la pressa rivoluzionaria del potere. Da quel momento, già da prima del 10 marzo, io non pensavo alle strade convenzionali.
Con Abel Santamaria e altri giovani coraggiosi che partecipano allo storico assalto della caserma Moncada.
Dopo il 10 marzo, fu necessario cambiare tale strategia. Non era più necessario utilizzare le strade costituzionali.
GIORNALISTA: Ma il 10 marzo si realizza non tanto per impedire una rivoluzione, bensì per impedire che il riformismo assumesse il potere a Cuba, o un partito più o meno progressivo, o...?
FIDEL: Mi sembra che in realtà il 10 marzo avviene per impedire il trionfo di un partito progressista a Cuba, non per impedire il trionfo di un partito rivoluzionario. Questa è la realtà. Loro cercano di fermare un movimento progressista, ma possiamo dire che storicamente crearono le condizioni per produrre un movimento rivoluzionario. Ma nelle condizioni di Cuba, credo che era anche possibile promuovere una Rivoluzione anche prima del 10 marzo.
Prima del 10 marzo io ero già comunista, pero il popolo non era comunista, la grande massa non rispondeva ancora a un pensiero politico radicale, la gran massa all’epoca rispondeva a un pensiero politico progressista, riformista, ma non era ancora un pensiero comunista.
GIORNALISTA: Inoltre, in ciò influenzava anche il problema dell'anticomunismo, del maccartismo.
FIDEL: Molto, molto, perché noi eravamo una colonia economica e anche ideologica degli Stati Uniti. Ma io acquisii questa consapevolezza come studente universitario.
ARMI A CREDITO
GIORNALISTA: Comandante, è esattamente da questo posto che siete saliti sulle automobili e siete partiti?
FIDEL: Lì c’è un pozzo dove tenevamo le armi, perché le nostre armi le abbiamo trovate nelle armerie, erano armi da caccia: fucili 22, calibro 22, e fucili da caccia, per la caccia d’anatre, piccioni. Ma non erano armi inoffensive, visto che noi avevamo comprato un gran numero di fucili automatici, per cui avevamo acquistato cartucce non per la caccia di anatre, ma per la caccia di cervi e cinghiali. Cioè, che come armi, non erano veramente armi inoffensive.
Ma Batista si sentiva così sicuro, che in quell’epoca funzionavano i negozi e i depositi d’armi. Loro si sentivano molto sicuri dentro la loro potenza militare.
GIORNALISTA: Ma armi da guerra non ce n’erano.
FIDEL: No, non c'erano armi da guerra.
No, ma noi almeno potevano acquisire alcune armi efficienti, e le abbiamo acquisite legalmente, legalmente acquistiamo le nostre armi. Noi avevamo alcuni colleghi che si vestivano come cacciatori e di gente borghese, e avevano le loro tessere e loro hanno comprato nei negozi.
Bisogna dire che il lavoro fatto fu così efficiente, che siamo riusciti ad ottenere dei crediti dai negozi d’armi e le ultime armi le compriamo quasi tutte a credito.
GIORNALISTA: E poi le avete messe in un pozzo qui.
FIDEL: La maggior parte arrivò qui il giorno prima, il venerdì, alla vigilia del 26 luglio, compriamo la maggior parte delle armi e le abbiamo portate qui trasferite in autobus, treno. Armi da guerra propriamente avevamo circa 3 o 4 fucili. Le nostre armi erano fucile calibro 22 o calibro 12; fucili automatici, una sola mitragliatrice, che avevamo un M-3, che si usava per l'addestramento all'Università, perché abbiamo usato molto l'Università per addestrare le persone.
GIORNALISTA: Ma poi siete dovuti partire arrivato il momento.
FIDEL: A quel tempo c’era molta rivalità tra le organizzazioni giovanili. Gli studenti a quel tempo, molti di loro, pensavano di essere gli eredi delle tradizioni rivoluzionarie; ma il nostro movimento aveva conquistato il sostegno d’alcuni leader universitari, e loro ci hanno procurato l'Università per l’addestramento della nostra gente. In altre parole, il nostro movimento era popolare, non era universitario; ma alcuni compagni nell'Università, principalmente Pedrito Miret, che oggi è della Direzione del Partito, era responsabile dell’addestramento nell’Università... Loro addestravano tutti, ma allora noi riusciamo ad ottenere l'adesione di alcuni di quei compagni che lavoravano lì, essenzialmente Pedrito Miret, e utilizziamo l’Università per addestrare la nostra gente, che era di estrazione popolare, non universitaria.
GIORNALISTA: Comandante, e allora siete partiti da qui?
FIDEL: Qui concentriamo le armi e qui raggruppiamo le persone che attaccherebbero la caserma Moncada. Centotrentacinque uomini si radunarono qui l’alba del 26 luglio, mentre un altro gruppo era nella zona di Bayamo. Perché militarmente noi pensavamo di prendere le caserme Moncada e Bayamo, per avere un'avanguardia organizzata nella direzione principale del possibile contrattacco di Batista.
GIORNALISTA: Comandante, ma la strategia dell’assalto alla caserma Moncada era prendere quell’accampamento per poi armare il popolo e continuare con una guerra?
FIDEL: Noi pensavamo di occupare le armi dell’accampamento, pensavamo di fare un appello per lo sciopero generale di tutto il popolo, in base alla situazione di scontento e d’odio verso Batista, e pensavamo di utilizzare le stazioni radio nazionali per l’appello allo sciopero generale. Se non riuscivamo a fermare il paese, il nostro obiettivo era poi andare in montagna per intraprendere una guerra irregolare nelle montagne.
GLI azzardi della storia
GIORNALISTA: Quindi il piano della guerriglia l’avevate già elaborato.
FIDEL: Aveva due varianti. Una: cercare di provocare una rivolta nazionale per rovesciare Batista. In caso di non raggiungersi la rivolta nazionale, o nel caso che Batista reagisse con forze superiori e ci attaccasse qui a Santiago de Cuba, la nostra idea era, con le armi della caserma Moncada, andare sulle montagne e combattere la guerra irregolare nelle montagne. Fu esattamente quello che abbiamo fatto tre anni più tardi. La strategia che elaboriamo per il Moncada fu la stessa che ci portò dopo alla vittoria, solo che la seconda volta non cominciamo dal Moncada, ma abbiamo iniziato dalla Sierra. Abbiamo fatto la guerra nella Sierra e alla fine abbiamo sconfitto Batista, in sostanza, con la stessa strategia.
Quindi la strategia del Moncada fu la strategia che seguimmo - in genere- dopo, e con la quale sconfiggemmo Batista. Ma non fu in quel momento.
Ora, io sono convinto che se avessimo potuto prendere la caserma e occupare le armi, e avessimo iniziato in quel momento la guerra contro Batista, avremmo sconfitto Batista prima. Ora, resta da vedere se il rapporto di forze nel 1953...
Penso che se avessimo sconfitto Batista nel 1953, l'imperialismo ci avrebbe schiacciato; perché tra il 1953 e il 1959 avvenne al mondo un cambiamento nel rapporto di forze molto importante.
GIORNALISTA: La guerra fredda era in pieno auge.
FIDEL: E lo stato sovietico in quel momento era ancora relativamente debole. E dobbiamo vedere che a noi ci ha aiutato, decisamente, lo Stato sovietico, che nel 1953 non l’avrebbe potuto fare. Questa è la mia opinione.
In altre parole, un trionfo nel 1953 possibilmente sarebbe stato sventato dall'imperialismo. Ma sei anni più tardi, era il momento giusto, molto stretto, dove una modifica nel rapporto di forze del mondo ci ha permesso di sopravvivere. Forse nel 1953 non avessimo sopravvissuto se avessimo vinto.
GIORNALISTA: Vi aveste radicalizzato e...
FIDEL: Ma dopo aver trionfato nel 1959, c’è stata una possibilità di sopravvivenza. Questa è la mia valutazione.
GIORNALISTA: Un'opportunità.
FIDEL: Sì, sì, un’opportunità.
GIORNALISTA: Questo è significativo, che Lei dica un’opportunità; perché veramente è stata abbastanza stretta per...
FIDEL: Che cosa avessimo potuto fare nel 1953? Avessimo vinto, avessimo svolto il programma rivoluzionario che avevamo concepito, quel programma avrebbe scatenato l’aggressione imperialista e ci avrebbero schiacciato. Quindi se la Rivoluzione avesse trionfato nel 1953 non avrebbe potuto sopravvivere. Questi sono gli azzardi della storia.
ELEMENTO SORPRESA
GIORNALISTA: Va bene Comandante, possiamo continuare con Lei?
FIDEL: Faremo quello che voi volete. Vuole vedere le armi qui? Venga. Questo è l'unico fucile M-1 che avevamo, l'unica arma di guerra.
L’arringa del leader studentesco.
Questa è una selezione del gruppo d’armi che abbiamo usato. Questa è l'unica arma di guerra che c’era, un fucile M-1, che era dell’Università. Ci addestravamo all'Università con quel fucile. Di questo fucile avevamo 3, ma questo è un fucile del tempo di Buffalo Bill più o meno, un fucile 44. La maggior parte delle nostre armi erano di questo tipo di fucili, calibro 12, calibro 16 e fucili di 22 millimetri. Con queste armi... Queste le abbiamo comprate tutte nei negozi. Ma io direi che erano armi efficienti, erano fucili automatici, e anche questi erano automatici, avevano cartucce speciali che avevano comprato. E penso che siano armi efficienti, ancora oggi penso che siano armi efficienti.
Naturalmente, non avevamo nessun bazooka, nessun cannone anticarro, nessun mortaio. Sarebbe stato molto migliore tutto quanto. Ma in quel momento avevamo quelle armi, e quelle sono state le armi con le quali noi organizziamo l’attacco alla caserma Moncada.
Altro fatto: Noi avevamo acquisito divise dell’Esercito, tutte le nostre divise erano dell’Esercito, li avevamo acquisiti tramite un compagno nostro che era nell'esercito di Batista e allora i 135 uomini indossavano divise militari. L’elemento sorpresa è stato il fattore decisivo dell'operazione, con queste armi e queste divise dell'Esercito.
Stavamo andando a prendere all'esercito di Batista la seconda fortezza militare del paese, che aveva più di mille uomini. E ci avrebbe potuto fare. Ancora oggi penso che il piano non era cattivo; era un buon piano.
GIORNALISTA: Il problema fu la deviazione dell’altra forza.
FIDEL: Il problema fondamentale è che in occasione del Carnevale, perché noi avevamo previsto la nostra azione al Carnevale, durante il Carnevale, per mobilitare più facilmente le nostre forze, in quei giorni precisamente loro raddoppiarono la guardia e stabilirono un avamposto cosacco intorno al Reggimento. E a complicare la situazione fu sicuramente il nostro incontro con la guardia cosacca, una guardia cosacca che misero intorno alla caserma e sulla strada principale dove stavamo andando. E origina uno scontro fuori della caserma. In caso contrario, noi avessimo potuto prendere la caserma senza difficoltà.
GIORNALISTA: Si può scattare una foto lì?
FIDEL: In questo pozzo abbiamo nascosto le armi, e su questo pozzo Abel Santamaria, che era il compagno responsabile di questa casa e leader del movimento, mise questa giara. In quella giara versò terra e piantò un albero. Quindi, le nostre armi erano sotto un albero piantato qui. E così rimane tutto fino al 26 luglio, che rimuovemmo l'albero, la giara e prendiamo le armi.
(L'intervista continua mentre Fidel conduce la Jeep, verso la caserma Moncada).
GIORNALISTA: Quante auto erano in totale?
FIDEL: Erano in totale... Prima sono partite le auto che andavano a prendere l'Ospedale Civile; erano tre. Dopo, le auto che dovevano prendere il Tribunale; erano due e poi con me erano le auto che dovevano prendere la caserma, che erano circa 14 automobili quelli che andavano con me. Io portavo circa 90 uomini a prendere la caserma.
GIORNALISTA: Allora il totale è stato assegnato ad altri obiettivi?
FIDEL: Sì, c'erano 35 destinati a prendere l'Ospedale Civile e il Tribunale, a circondare la caserma.
GIORNALISTA: Suo fratello Raúl, Comandante, che missione aveva?
FIDEL: Raúl doveva prendere l'Ospedale Civile, l'Ospedale Civile no, il Tribunale di Santiago de Cuba, che circonda la caserma. E Abel l'Ospedale Civile. Io ai compagni responsabili, al secondo capo del movimento, che era Abel, lo inviai all'Ospedale Civile in caso io risultasse ucciso nella caserma, capisce?, perché non rimanesse il gruppo senza direzione. E Raúl andava nel Tribunale. Noi prendevamo gli edifici intorno alla caserma simultaneamente con l'attacco alla caserma.
Avrà immaginato quanta tensione c’era qui, in questo cammino; ma in realtà c’era molta determinazione. Certamente non avevamo alcun dubbio del successo. La cosa più difficile fino a quel momento era stata raggiunta: organizzare gli uomini, addestrarli, acquisire le armi e preparare l'attacco.
GIORNALISTA: Certamente, senza cadere nella repressione.
FIDEL: Certo
GIORNALISTA: E questa montagna, di fronte, è la Gran Piedra, dove siete andati dopo?
FIDEL: Poi noi siamo tornati qui alla casa, per cercare di riorganizzare la gente e con un gruppo di 10 o 12 uomini siamo andati alle montagne. Ma le nostre armi, che erano buone per il combattimento nella caserma, non erano buone per combattere in montagna.
GIORNALISTA: Non erano di lunga gittata?
FIDEL: Erano di molto corta gittata.
GIORNALISTA: Immagino che il quadro era un po' diverso, perché non c’erano tali pastorali.
FIDEL: No, questo è tutto nuovo. Se volete, potete salvare qualche materiale per quando arriveremo, eh?
GIORNALISTA: Sì, sì, abbiamo.
FIDEL: È per questo ponte. L'unico incidente d’importanza è che questo ponte è di un solo senso, e quando andavamo veniva una macchina di fronte, e abbiamo dovuto aspettare che passasse, e allora abbiamo continuato da qui.
Come Lei può vedere la casa era vicino alla caserma. Qui abbiamo girato per entrare nella caserma.
GIORNALISTA: In occasione dell'assalto avete continuato dritto?
FIDEL: Da qui, da qui, da qui abbiamo continuato. (Fidel e i giornalisti arrivano alla caserma Moncada, dove continua il racconto). Allora vi dirò, dove si crea la crisi; la crisi si produce qui. Perché? Perche l’avamposto cosacco veniva in questa direzione, e l’abbiamo trovato qui; ma un'auto era passata davanti a noi, che era quella che doveva disarmare l’avamposto, e l’auto arrivò, era 100 metri davanti a noi - e disarmò l’avamposto. Ma l’avamposto cosacco vide passare la prima auto e rimase a guardarla; e quando vide che l’auto disarmò l’avamposto lì, si mise in guardia, in allerta.
Nella fattoria Siboney, dove hanno alloggiato 25 anni fa gli assalitori della caserma Moncada, Fidel risponde alle domande dei giornalisti.
Allora io ero qui a fianco dell'avamposto cosacco, e stavo impugnando la pistola per prendere in prigionia l'avamposto cosacco. In quel tempo, l'avamposto cosacco si rende conto che noi eravamo a fianco, e fa un gesto di sparare ed io butto la macchina all’avamposto cosacco sopra. Qui è stato, in questo luogo, più o meno. Allora l’avamposto cosacco si sposta di là, io scendo...Perché io stavo facendo tre movimenti: con questo qui, guidando da qui, la pistola da qua. Allora quando io mi fermo, le auto che venivano dietro pensano che io ero all'interno della caserma e scendono e assaltano questo posto qui. E allora io devo scendere a portare fuori la gente di quest’edificio per continuare l'attacco, ma impiego circa 5 o 6 minuti a farlo. Quando siamo saliti di nuovo nelle macchine, una macchina avanza e retrocede e si scontrò con la mia. Il risultato è stato che il combattimento comincia a svilupparsi fuori della caserma, e doveva svolgersi all'interno della caserma...
GIORNALISTA: Allora si è mobilitò la caserma.
FIDEL: Allora si mobilitò il Reggimento, e quindi organizzò la difesa. Ecco che cosa impedisce... Perche veramente l'avamposto cosacco era una cosa nuova, che l’avevano messo in occasione del Carnevale. Il piano veramente... le dirò... Non so se è possibile camminare da qui, ma lì non c’era nessun alberi, credo io all’epoca. Allora l'assalto cominciava lì, lì.
GIORNALISTA: Lì doveva cominciare?
FIDEL: Lì doveva cominciare tutto, quando si oltrepassasse l’avamposto. Ma avviene l'incontro con l’avamposto cosacco, che in realtà io ho avuto due intenzioni: una, proteggere la gente che aveva preso l’avamposto; seconda, rimuovere le armi all’avamposto cosacco. Penso che se noi avessimo continuato senza prestare attenzione all’avamposto, avremmo preso la caserma.
GIORNALISTA: In quei momenti?
FIDEL: Sì, sì, gli avessimo preso per sorpresa; perché l’avamposto avrebbe visto un’auto davanti, una dietro, e altra dietro, e non avrebbe sparato. Oggi mi rendo conto di questo, ma in quel momento ho cercato di proteggere le persone che avevano preso l’avamposto e ho cercato di togliere le armi all'avamposto cosacco. E come risultato di ciò avviene il combattimento fuori delle caserme; e la gente che non conosceva bene la caserma, assalta tutti questi luoghi. E allora io devo dedicarmi a riorganizzare la gente per l’incontro... Quando andiamo a entrare in caserma, si produce un incidente di una macchina che si scontra con la mia.
GIORNALISTA: Perché la sua gente non conosceva Santiago per davvero.
FIDEL: la gente non conosceva, la gente doveva fermarsi dove io mi fermavo. Ma veramente in quel momento, quando vedo che l'avamposto cosacco sta per sparare contro la nostra gente nella caserma, cerco di proteggergli e vado a fermare l'avamposto cosacco. Allora l’avamposto ci scopre, cerca di sparare ed io butto la macchina addosso all'avamposto cosacco, e in quel momento comincia la sparatoria. Ma la sparatoria avviene fuori della caserma.
GIORNALISTA: Allora questo incidente fu il più grave?
FIDEL: Quello è stato il più grave. Se non fosse stato per l’incidente dell’avamposto cosacco, noi avremmo presso la caserma, perché la sorpresa era totale. Il piano era un buon. E se fosse necessario fare un piano adesso, con l'esperienza che abbiamo, si farebbe un piano più o meno uguale. Il piano era buono. Cioè, avviene un incidente, una cosa accidentale, che mandò all’aria tutto il piano. Questa è la realtà. Il fallimento della presa della caserma fu l’incontro con l’avamposto cosacco, che in realtà abbiamo dovuto continuare dritto.
GIORNALISTA: Perché la chiamavano avamposto cosacco?
FIDEL: Perché chiamano così all’avamposto che fa dei percorsi intorno alla caserma, e questa andava fino al viale e tornava. E l’hanno messo in occasione del Carnevale, cioè che non era previsto, l’avamposto. Sembra che in occasione del Carnevale, forse per evitare incidenti di minor rilievo, misero l'avamposto cosacco; perché loro non avevano il minimo sospetto che stava per attaccarsi la caserma, ma l’avamposto lo misero in occasione del Carnevale di Santiago. In precedenza non facevano questo, l’hanno messo in qui giorni.
GIORNALISTA: D'altra parte, il Carnevale era un elemento favorevole.
FIDEL: Ci aiutava, perché agevolava il movimento con meno sospetto. Cioè, il carnevale ci favorì, ma d'altra parte il carnevale diede origine che loro mettessero un avamposto extra che normalmente non mettevano, e questo avamposto scontra con noi lì, 80 metri dall'ingresso della caserma. Ma nel caso contrario, dalle auto sarebbero scesi tutti e avrebbero preso la caserma, l’avrebbero fatto. E in più aravamo vestiti come soldati. E loro avessero presso l'avamposto, si avrebbero barricato qui, perché il problema è che loro mobilitano il Reggimento; in caso contrario, noi avessimo preso il Reggimento dormendo e gli avessimo accerchiato, perché avevamo preso l'edificio del Tribunale, gli edifici circondanti, i principali palazzi li avevamo già preso, quelli che circondano la caserma. Allora noi avessimo preso questa parte e gli avessimo messo nel cortile a tutti loro. Naturalmente, sarebbe stato una carneficina; perché quello che si è stato dimostrato lì è che quando abbiamo scontrato l’avamposto cosacco, iniziò la sparatoria violenta, molto violenta... Penso che come la nostra gente non aveva ancora molta disciplina nello sparare, all’arrivare qui avrebbe sparato lo stesso, e sarebbe stato una carneficina. Non c'è dubbio.
GIORNALISTA: E adesso in questa caserma c'è una scuola. Si vedono gli studenti...
FIDEL: Sì, una scuola. Abbiamo rimosso le mura e tutto quanto. Ma alcuni criticano questo, perché dicono che sarebbe stato meglio come posto storico; ma nei primi giorni della rivoluzione non avevamo molte scuole e non pensavamo nella storia, e allora buttammo giù le mura e facemmo una scuola.
GIORNALISTA: Ma è un luogo storico.
FIDEL: Rimane adesso un piccolo museo qui, è quello che c’è. Forse un giorno sarà meglio ricostruire le mura e lasciarlo come era in origine.
LAVORIAMO PER LA VITTORIA
GIORNALISTA: Comandante, io, come gli ho già detto, volevo passare ad altro punto prima di parlare di cose politiche più generali. Una questione che ha impressionato abbastanza a chiunque conosca la storia di Cuba un po', fu quel processo d’isolamento dopo la sconfitta del Moncada, con la tragedia di tanti compagni morti. Una sconfitta, chiaramente... Come in tale isolamento, quella cella d’isolamento, Lei non si perse d’animo, non abbandonò la lotta, continuò a pensare, continuò a preparare la Storia mi Assolverà, fece un documento politico che era la base per il proseguimento della lotta e il programma della Rivoluzione?
FIDEL: In realtà noi lavoriamo per la vittoria, non per la sconfitta e abbiamo subito un contrattempo molto duro. Inoltre, questo contrattempo era costato il sacrificio di molti compagni. Se prima dell'attacco alla caserma Moncada mi sentivo obbligato con il paese, dopo l'attacco mi sentì ancora più obbligato. Credo che viste le nostre intenzioni, i nostri scopi, non potevo reagire d’altro modo che come ho risposto, ancora con più determinazione, più spirito combattivo. Nessuno sapeva come potrebbe finire tutto quello. Non sapevamo, anche, se saremmo stati uscissi. Ma, naturalmente, dovevamo difendere le nostre idee, dovevamo difendere la nostra verità. Si può dire che in casi come questi, l'uomo è più stimolato che in circostanze normali e, da queste difficoltà prende le forze per affrontare i problemi. Ma la cosa più essenziale di tutte è che eravamo assolutamente convinti che avevamo la ragione. E questo fattore ci dava la forza per affrontare quei tempi molto difficili, per approfondire di più, per spiegare al popolo gli obiettivi della nostra lotta, per affrontare la campagna di calunnie del governo e per creare le condizioni in modo che se la nostra generazione non poteva svolgere questi compiti, fossero realizzati da un'altra generazione. Cioè, piantare il seme e dare l'esempio, che non era più il mio esempio personale, ma era l'esempio di tutti i compagni che avevano combattuto e si erano sacrificati. Avevamo il dovere di fare il massimo sforzo perché quel sacrificio non fosse inutile.
GIORNALISTA: In quel momento così importante, Lei s’inspirò molto a Martí, vero, Comandante?
FIDEL: In realtà, sempre, tutti noi e tutta la nostra generazione ricevette una grande influenza di Martí e una grande influenza delle tradizioni storiche della nostra patria, che erano state tradizioni di lotta molto dure per l’indipendenza, e tradizioni veramente molto eroiche, che esercitavano una grande influenza su tutti noi. Io in quel momento avevo una doppia influenza che continuo ad averla oggi: un’influenza della storia della nostra patria, delle sue tradizioni, del pensiero di Martí e della formazione marxista-leninista che avevamo già acquisito nella nostra vita universitaria.
Sempre questa combinazione delle due influenze: l'influenza del movimento progressista cubano, del movimento rivoluzionario cubano, del pensiero martiano e del pensiero marxista-leninista, ebbe molta presenza in tutti noi. Non si può separare una cosa dall’altra nella storia del nostro paese. Perché Martí nel suo tempo fecce il compito che gli corrispondeva e fu un esponente del pensiero più rivoluzionario di quell’epoca. Si potrebbe dire che per noi il vincolo di quel pensiero patriottico, di quel pensiero rivoluzionario con il pensiero rivoluzionario più moderno, con il marxismo-leninismo; quete combinazioni furono gli elementi che maggiormente influenzarono noi e che veramente ci inspirarono di più. E che non poteva essere d’altro modo, perché in paesi come Cuba la liberazione nazionale e la liberazione sociale sono strettamente collegate.
Martí significò il pensiero della nostra società, del nostro popolo nella lotta per la liberazione nazionale. Marx, Engels e Lenin, significavano il pensiero rivoluzionario nella lotta per la rivoluzione sociale. Nel nostro paese, liberazione nazionale e la rivoluzione sociale si unirono come le bandiere della lotta della nostra generazione.
GIORNALISTA: Comandante, andando un po' più lontano, il Capocarceriere ci parlò molto del processo dentro Isla de Pinos e ci spiegò bene come lì ci rafforzò ideologicamente il gruppo dirigente, e quello che volevo chiedere a Lei: Ha sempre avuto fiducia nella possibilità di ottenere attraverso il lavoro politico del movimento e d’altra forza politica, l’amnistia o aveva pensato alla possibilità di un’evasione per continuare la lotta? Sicuramente Lei non pensò di rimanere lì 15 anni.
FIDEL: No. Veramente io non pensavo di essere lì 15 anni, ma capivo molto bene la situazione politica del paese. Esisteva un odio contro Batista molto diffuso e Batista era vittima delle proprie contraddizioni. Cercava di legalizzare il regime, cercava di creare le condizioni per le elezioni che anche se fossero fraudolente, almeno servirebbero come copertura della sua dittatura.
E noi sapevamo che, visto lo stato d'animo dell'opinione pubblica, non ci potrebbe essere alcun tentativo di soluzione giuridica della situazione di Cuba senza l'amnistia dei prigionieri politici. Noi sapevamo che l'amnistia si doveva avvenire prima o poi a seguito delle pressioni delle masse e le proprie contraddizioni del regime.
In realtà, pensare all'evasione in Isla de Pinos era molto difficile. Noi eravamo sottoposti a una prigionia molto severa, a una sorveglianza rigorosa, su un'isola, dove era, in pratica, molto difficile elaborare un'evasione. Pertanto, avevamo fiducia nel movimento di massa e nel movimento politico, che mettesse abbastanza pressione al regime per costringerlo all’amnistia dei prigionieri politici. Inoltre, noi calcolavamo che Batista si sentiva forte, si sentiva sicuro, che sottovalutava la rivoluzione e sottovalutava i rivoluzionari, e che a un certo punto, come parte del suo gioco politico, sarebbe costretto a promuovere l'amnistia.
Noi abbiamo cercato di... Prima abbiamo tenuto un atteggiamento molto firme, molto ribelle, molto dignitoso nelle carceri, e certamente, incoraggiavamo la lotta delle masse per l'amnistia. Ma già da allora lavoravamo sull'organizzazione del movimento ed elaboravamo i piani successivi, per quando il governo si trovasse nella necessità di dichiarare l'amnistia. Ed è accaduto esattamente così.
Quando abbiamo lasciato il carcere, avevamo già una strategia di lotta elaborata. Ma la cosa più importante, a nostro parere in quell'istante era dimostrare che non c'era nessuna soluzione politica, vale a dire, una soluzione pacifica al problema di Cuba con Batista, pero dovevamo dimostrare questo davanti all’opinione pubblica, perché se il paese era costretto alla violenza rivoluzionaria non era a causa dei rivoluzionari, ma a causa del regime. Allora esponevamo che eravamo pronti ad accettare una soluzione pacifica al problema attraverso determinate condizioni, condizioni che sapevamo non esisterebbero mai. E ci sono volute poche settimane per dimostrare all’opinione pubblica che le possibilità di una soluzione pacifica dei problemi di Cuba con Batista non esistevano.
Siamo stati sempre molto preoccupati e su questo ha influenzato anche la tradizione martiana - che la guerra è l'ultima risorsa. E Martí durante le lotte per l'indipendenza s’impegno molto per dimostrare che di essere necessario andare in guerra era perché non c’era nessun’altra risorsa. Quello era nella tradizione politica della nostra storia. Noi, allo stesso modo, cerchiamo di dimostrare che non c'era nessuna soluzione pacifica con Batista. Una volta che - a nostro parere – questo era stato dimostrato, abbiamo iniziato di nuovo la preparazione per la lotta armata.
III LA SIERRA
PREPARAR il ritorno
I leader più conosciuti ci siamo trasferiti in Messico, giacché dopo l’assalto alla caserma Moncada eravamo già ben noti nel paese. La nostra strategia era preparare il movimento internamente e allo stesso tempo preparare alcuni leader all'estero, per iniziare la lotta simultaneamente in un momento specifico, con l'arrivo di quelli che eravamo all'estero. Questo compito era principalmente preparare i leader militarmente e raccogliere un minimo d’armi necessarie per riprendere la lotta. Ecco perché ci siamo trasferiti in Messico, perché nel Messico c’è sempre stata una tradizione di solidarietà, d’ospitalità verso gli immigrati da paesi diversi. Ma il nostro compito l’abbiamo svolto in Messico senza alcun supporto ufficiale: né diretto né indiretto. Cioè, abbiamo svolto il nostro lavoro in Messico senza alcun tipo di aiuto ufficiale. Anche in Messico abbiamo svolto il nostro compito clandestinamente.
Abbiamo certamente avuto qualche difficoltà di tipo legale, poiché le nostre attività, anche se non erano indirizzate in alcun modo contro lo stato messicano, comunque era implicita qualche violazione delle leggi messicane, com’è raccogliere armi e addestrare le persone. Questo ci portò alcune difficoltà. Ci sono stati alcuni momenti difficili: alcuni di noi sono stati arrestati, ma in quei momenti c’è stato molto utile il fatto che il generale Lázaro Cárdenas, l'uomo più prestigioso e con più vocazione internazionalista che abbia prodotto Messico negli ultimi tempi, s’interessasse della nostra situazione. Lázaro Cárdenas aveva un grande prestigio in Messico, e il fatto che lui se interessasse di noi, aiutò a risolvere la nostra situazione giuridica e fecce diminuire in questo senso la repressione che in quei momenti noi stavamo soffrendo in Messico. Questo ci permesse di guadagnare tempo, completare i nostri preparativi prima di tornare a Cuba.
In carcere, dopo l’audace azione del 26 luglio 1953.
In realtà, Batista lavorava anche lui attivamente. Aveva degli agenti a pagamento in Messico, cioè agenti cubani, e cercava d’influenzare da stato a stato per riuscire a che le nostre attività in Messico fossero soffocate.
Quando abbiamo lasciato il Messico alla fine di novembre 1956, siamo partiti in condizioni di assoluta segretezza, e in quel momento noi eravamo inseguiti dalle autorità come risultato delle denunce fatte dal governo di Batista.
Non critico le autorità messicane, perché veramente, in tali circostanze, erano nel loro pieno diritto di evitare qualsiasi cosa che interferisse le leggi messicane. E noi, in certo senso, siamo stati obbligati a violare la leggi messicane per il bene del nostro scopo patriottico a Cuba.
Questa contraddizione è esistita. C'erano difficoltà; alcune occupazioni di armi erano state fatte, e abbiamo dovuto lasciare il Messico in un momento in cui le autorità stavano cercando di trovarci, arrestarci e senza dubbi evitare la nostra attività rivoluzionaria. Sono stati condizioni veramente molto difficili gli ultimi giorni della nostra permanenza in Messico. Fino a che, nonostante tutto, un po’ dall'esperienza della lotta clandestina, siamo riusciti a superare queste difficoltà e partire dal porto di Tuxpan, se non ricordo male, il 24 novembre 1956. Infatti, c’èra anche un cattivo tempo ed era stata vietata ogni navigazione in quei giorni, e noi siamo dovuti partire comunque con il maltempo.
Anche se eravamo già partiti, il che significava un importante passo avanti, tre o quattro giorni dopo Batista seppe della nostra partenza dal Messico. E allora aveva già dato istruzioni alla Marina Militare e all’Aeronautica d’individuare la nostra piccola barca, una barca di circa sessanta piedi è un po’, nella quale viaggiavamo 82 uomini.
Navighiamo con il maltempo, poi navighiamo lontano dalla costa meridionale dell'isola fino a sbarcare nella provincia di Oriente. Per fortuna siamo potuti arrivare senza che la Marina Militare o l’Aeronautica ci scoprisse. Perché nell'ultimo giorno, durante la notte, anche se eravamo lontano dalla costa, navighiamo circa 80 o 100 miglia, per arrivare all'alba del 2 dicembre 1956 alla costa di Cuba.
GIORNALISTA: Sappiamo, Comandante, che anche in questo caso, uno dei comandanti o il capitano navale della barca era un ufficiale della Marina di Batista, che si era unito alla lotta.
FIDEL: No. Veramente no. Non era ex-ufficiale della Marina di Batista; era ex-ufficiale della Marina costituzionale, che non è la stessa cosa. E ci aiutò, ha guidò la nave. C’era anche tra di noi un capitano domenicano, un rivoluzionario domenicano che aveva esperienze come marino, chi è morto, partecipò insieme a Caamaño più tardi nella rivoluzione dominicana, e qualche tempo dopo fu assassinato. Anche quel compagno veniva. E ci accompagnava anche un ex-tenente della Marina. Ma tutti insieme non sapevamo molto delle coste di Cuba, e avevamo davvero pochissima informazioni sulle coste di Cuba. L'informazione era piuttosto scarsa e questo ci portò alcune difficoltà. Ma nonostante tutto abbiamo potuto navigare millecinquecento miglia e raggiungere Cuba. A proposito, siamo arrivati con due pollici di carburante nei serbatoi, in altre parole, che solo c'era carburante per qualche minuto in più.
GIORNALISTA: Vuol dire, che sempre sull'orlo del pericolo.
FIDEL: Io penso che siano gli incerti del mestiere rivoluzionario.
VOLONTÀ DI RESISTERE
FIDEL: 20 anni fa abbiamo sbarcato qui.
GIORNALISTA: Si vede il fondo...
FIDEL: Ci avviciniamo a dove siamo sbarcati. Ora vedrà. Guardi il luogo dove siamo sbarcati. Lì, guardi. Qui è dove siamo sbarcati. Potete riprenderlo adesso. Qui è dove siamo sbarcati. Faccia le riprese; se non, l’oltrepassiamo. In realtà, siamo sbarcati un chilometro più a sud. Come potete vedere, siamo sbarcati in un luogo piano, molto piano.
GIORNALISTA: È c’è stato un errore nel posto di...?
FIDEL: Beh, il problema è che era all'alba e durante la notte era caduto un uomo in acqua, e abbiamo dovuto impiegare circa trenta minuti per trovarlo e buttarlo fuori dall’acqua. Allora è arrivata l’alba. Il capitano della nave non era molto sicuro di dove eravamo. Aveva dato diversi giri. Allora io gli chiesi e gli dissi: "Sei sicuro che questo sia già il territorio fermo di Cuba?" e mi disse: "Sì". Io dico: "Bene, allora, imbocca verso la spiaggia a tutta velocità". E siamo arrivati alla spiaggia. Ma nel posto dove siamo sbarcati c’era una palude immensa, vari chilometri di palude e siamo stati circa due ore e mezza ad attraversare la palude, che era molto difficile, molto difficile. Ci interravamo fino alla vita. Fino a che arriviamo a terraferma, ma il luogo non era buono.
Quando siamo sbarcati c’erano due pollici di carburante nei serbatoi. Sarebbe stato meglio sbarcare un po’ più a est, ma il carburante non era sufficiente.
GIORNALISTA: E questo vi allontanava di più dalla Sierra, vero?
FIDEL: Sì. Il carburante non era sufficiente, e il posto era piatto. Se noi fossimo sbarcati 50 o 60 chilometri più a est, la guerra sarebbe stata finita prima.
GIORNALISTA: Cioè, più vicino alla Sierra?
FIDEL: Sì, se fossimo sbarcati vicino alle montagne.
Siamo sbarcati in una pianura e il nemico poté fare un assedio del territorio dove eravamo, e la situazione era molto difficile. Se noi fossimo sbarcati vicino alle montagne, la guerra avrebbe durato molto meno.
GIORNALISTA: Non ci sarebbe stato il...
FIDEL: Forse 12 o 15 mesi. Perché la guerra è durata 25 mesi, ma il terzo giorno dallo sbarco, avemmo un rovescio molto serio, in cui loro riuscirono a commettere un attacco di sorpresa e disperdere le nostre forze. Abbiamo avuto molte perdite e solo pochi di noi siamo riusciti sopravvivere a questa situazione.
GIORNALISTA: Questo è stato Alegría de Pío.
FIDEL: Sì, Alegría de Pío. Poi siamo riusciti a riunire alcuni uomini e alcuni fucili, ma, come si può vedere, le montagne sono lontane dal punto dello sbarco; circa - direi - 30 o 40 chilometri, le prime colline. Già da qui inizia la Sierra Maestra.
GIORNALISTA: Comandante, e in questa fase, dopo Alegría de Pío, fu essenziale l'aiuto di alcuni contadini che dopo si unirono per...?
FIDEL: Sì. All'inizio siamo stati accerchiati molti giorni. Io avevo un fucile e con me c’erano due uomini, uno con fucile e l’altro senza fucile. Io in quel momento avevo cento pallottole e un fucile. Altro compagno aveva un fucile con 40 pallottole. Dopo si è riunito Raúl con quattro uomini che avevano quattro fucili, più - un quinto fucile di un uomo che non era in grado di continuare. E riunimmo sette fucili.
GIORNALISTA: E il gruppo era molto piccolo, quello che partì da Alegría de Pío?
FIDEL: Disperso, Disperso.
GIORNALISTA: E quelli che erano con Lei erano...?
FIDEL: Erano due compagni, uno dei quali aveva il fucile e l'altro no.
GIORNALISTA: E Almeida era nell’altro gruppo?
FIDEL: Almeida era in un terzo gruppo, con il Che, con Camilo, con altri colleghi. Ma quello che abbiamo riunito inizialmente furono sette fucili. Questa nuova strada che voi vede, non esisteva come strada. Era un cammino. Ma qui stabilì l’esercito l'accerchiamento. Lungo questa strada l'esercito stabilì l'accerchiamento. Era un cammino; Oggi che è una strada. Poi ci siamo dedicati a raccogliere alcune armi. Già quando siamo arrivati a questa zona della strada, cominciamo ad avere i primi contatti con i contadini, e loro ci hanno aiutato soprattutto ad attraversare la strada, o attraversare il cammino, e arrivare alla zona montagnosa del Sierra.
GIORNALISTA: Questi furono Guillermo Garcia e...
FIDEL: Gullermo fu il primo contadino che fecce contatto con noi ed era di questa zona, e lui era del Movimento. E quando ha la notizia dello sbarco e tutto quanto, era attento, no?
Negli Stati Uniti, come in Messico, l'attività instancabile per preparare il ritorno della liberazione definitiva.
Una mattina presto, attraversiamo il cammino e avanziamo circa 20 o 30 chilometri.
GIORNALISTA: E tutto quanto Celia aveva preparato era nella zona di Niquero, vero?
FIDEL: Nella zona di Pilón. Perché, in realtà, il miglior posto per lo sbarco sarebbe stato più a est. Noi siamo sbarcati qui perché arrivò l’alba, in parte e perché non conoscevano molto bene il terreno e la costa.
E allora elaboriamo un piano per prendere una piccola caserma che era qui vicino, e poi continuare verso la Sierra. Ma nel modo in cui avvenne lo sbarco, era assolutamente impossibile eseguire questa operazione, poiché abbiamo sbarcato in una palude, e il nemico ebbe tempo per organizzarsi e preparare le operazioni militari contro di noi. In effetti il nemico ebbe una vittoria, perché disperse il nostro corpo di spedizione di 82 uomini.
GIORNALISTA: Quanti siete rimasti?
FIDEL: Alla fine ci siamo potuti riunire meno di 20, sette fucili, un gruppo di compagni disarmati, e poi abbiamo potuto raccogliere alcune armi che erano disperse. La prima azione contro l'esercito, la prima azione vittoriosa, la realizzammo il 5 febbraio, perché avevamo 16 armi...
GIORNALISTA: È stata l’Uvero?
FIDEL: La Plata. Nella Plata, un’alba, abbiamo attaccammo. Se non ricordo male, fu alle 2:40 del mattino. Siamo stati a combattere con loro più di un'ora. Occupammo una piccola caserma e 10 armi. Il nostro gruppo crebbe circa 30 uomini. Ma ormai l’incremento era grazie ai contadini delle montagne.
GIORNALISTA: Come siete riusciti, Comandante, dopo la sconfitta di Alegría de Pío, come siete riusciti a ritrovare le forze per rompere l'assedio e continuare la lotta, non abbandonare la fede nella vittoria?
FIDEL: Penso... Nessuno sapeva quanti eravamo vivi e chi erano, ma da parte mia ho avuto l'idea di continuare la lotta, nonostante che avevo due fucili. Non avevo nessuna notizia degli altri. Raúl, da parte sua, aveva l’idea di continuare a combattere, fino a quando ci siamo riuniti. Quando Raúl ed io ci incontriamo, avevamo sette fucili, circa sei o otto fucili più che avevamo ricuperato di quelli che erano stati persi e dispersi. E la prima azione l’abbiamo fatta con circa 17 o 18 uomini. Ma ci avremo avuto in quel momento circa 14 fucili, alcune pistole. La nostra prima azione militare fu con un gruppo molto piccolo, ma avevamo già avuto l'esperienza del Moncada, e avevamo lo scopo di continuare la lotta. Eravamo convinti che l'idea era giusta e che avevamo sofferto un rovescio, anche se era un rovescio molto grande. Questa è la Sierra Maestra… gli aerei non potevano bombardare…noi siamo stati accerchiati, siamo stati accerchiati 18 mesi dall’esercito, per mare e per terra.
Ma in questo periodo la cosa più importante era sopravvivere nei primi giorni. La questione era poter sopravvivere, e quello dipendeva molto da noi, dal piccolo gruppo che era nelle montagne. Infatti, in questo periodo quello che avevamo era un'idea, un'organizzazione nelle città e la volontà di resistere.
Ma in quel momento era molto importante quello che facevano i guerriglieri, perché la guerriglia poteva essere sterminata in qualsiasi momento. E noi siamo stati sul punto di essere sterminati a causa del tradimento di un contadino. In altre parole, c’è stato un contadino che quando va a compiere una missione, l’esercito lo fa prigioniero e allora gli offrono perdonargli la vita, gli offrono molte cose, e ci tradisce. Il primo guida, uno delle guide... ci tradì. Pero il fattore psicologico fondamentale è che lui vedeva che le nostre forze erano molto piccole e quelle dell'esercito molto grande, e perse la fede che noi potessimo ottenere la vittoria e allora si mise al servizio dell'esercito. E l'azione di questo contadino in coordinamento con l'esercito stette per sterminare le nostre forze. Furono giorni molto difficili, giacché il nostro guida principale, l'uomo che significava i nostri occhi e le nostre orecchie ci aveva tradito e stava cercando di trovarci perché l’esercito ci accerchiasse e ci eliminasse. E sono stati sul punto di farlo, fino a quando ci siamo resi conto.
GIORNALISTA: Vi siete resi conto in tempo
FIDEL: Beh, non in tempo. Ci siamo resi conto soprattutto dopo l'ultima azione dell'esercito che, in pratica, quasi ci elimina; ci siamo resi conto che: ci stava traendo, io mi sono reso conto. Altri colleghi scettici, non lo credevano, e ho detto a loro, ho spiegato tutta una serie di elementi per cui ritenevo che ci stava tradendo. E in fatti dimostrarono che la mia valutazione era corretta, ma quasi per questione di minuti ci siamo salvati da essere sterminati.
GIORNALISTA: Foste accerchiati?
FIDEL: Fummo accerchiati, eravamo accerchiati, ma io iniziai a sospettare e cominciammo a muoverci. E ci incontrammo con l'esercito ai margini dell'assedio, quando quel contadino veniva con l'esercito come una guida, in un momento che presumibilmente stava compiendo una nostra missione. In quel momento lo vedemmo, ma ormai sapevamo che ci stava tradendo, perché in realtà ci aveva posizionato in un punto perché l'esercito potesse accerchiare noi. Influenzò anche il giorno prima che l'esercito aveva avviato il piano d’assedio, ma c’era stata una pioggia molto pesante e l’hanno lasciato per il giorno successivo. Ma il giorno dopo ci siamo resi conto in tempo per un prigioniero che avevamo catturato, anche se le nostre forze erano state istruite di non farsi vedere, una sentinella aveva catturato un uomo. Io gli fecce una serie di domande, e dal movimento che aveva fatto l'esercito il giorno prima, mi sono reso conto che stavano facendo un movimento intorno a noi. Allora già in quel momento ho avuto la convinzione che ci stessero tradendo, e propose muoverci da quel punto. E prendemmo posizioni sulla cima delle colline, dove l'esercito stava per completare l'accerchiamento. Siamo stati molto vicino a essere sterminati. Il compagno che era accanto a me fu ucciso.
GIORNALISTA: Ma quello fu la seconda volta...
FIDEL: Quello fu in Altos de Espinosa, che è come si chiama il posto. Fu il momento che siamo stati più vicini a essere sterminati tutti, ma siamo potuti sopravvivere, siamo riusciti a sfuggirei quell’accerchiamento. E abbiamo anche imparato la lezione.
Con Raúl, Almeida, Ramiro Valdés e Ciro Redondo durante gli anni della guerra nelle montagne orientali.
L'organizzazione, si potrebbe dire, anche se era molto piccola in questa zona, ci aiutò dal primo momento: ci aiutò Guillermo García, ci aiutò molto Celia, che era a Manzanillo e ci inviò i primi viveri, i primi vestiti, i primi soldi. Perché noi pagavamo tutto ai contadini. All’inizio i contadini erano molto spaventati per la repressione dell'esercito, ma i contadini sono stati gradualmente conquistati dalla rivoluzione. Voglio dire, il lavoro non venne fatto in anticipo, il lavoro con i contadini venne fatto durante la lotta. L'esercito reprimeva, commetteva molti crimini, piantava il terrore, mentre noi rispettavamo i contadini, gli pagavamo tutto quello che compravamo. E a poco a poco i contadini si sono uniti a noi. E alla fine, c’erano tutti i contadini con noi.
IL CENTRO PRINCIPALE DELLE NOSTRE OPERAZIONI
FIDEL: Questo luogo dove siamo adesso si chiama La Plata, e qui abbiamo avuto la nostra prima vittoria contro le forze di Batista. Questo fu un mese e mezzo dopo lo sbarco circa, e diverse settimane dopo che loro furono riusciti a disperdere tutte le nostre forze. In questo punto abbiamo potuto riunire circa 17 uomini. E c’era una pattuglia mista di marinai e soldati di Batista che quei giorni, pensavano che avevano sterminato la forza guerrigliera, e si erano dedicati a sloggiare i contadini e a commettere abusi e misfatti nell'interesse di un grande proprietario terriero che c’èra in questa zona.
GIORNALISTA: Comandante, mi scusi. Questo fatto che pensassero di aver sterminato le forze vi diede un po' di riposo?
FIDEL: Ci diede un certo vantaggio, perché si trascurarono. Loro avanzavano, portavano dei contadini in arresto, come quel contadino che parlò con voi. Gli torturavano, o gli uccidevano perché erano davvero a seminare il terrore tra i contadini. Allora, noi che ci siamo avvicinati dall'ovest e in quelle colline cominciamo a sorvegliare il movimento e la posizione della pattuglia.
La sera ci avviciniamo e catturiamo la guida della pattuglia dell'esercito, che era un dipendente del proprietario terriero, che serviva a loro per dare informazioni sui contadini che avevano un atteggiamento di protesta contro gli sfratti, e allora stavano a reprimere questi contadini. Il loro guida, una volta catturato da noi, ci diede tutti i dettagli dell’impianto. E allora durante la notte gli attacchiamo. Eravamo 17 uomini, loro erano circa 12, erano in due piccole caserme, e dopo un'ora di combattimento più o meno, si arresero, ma quando si arresero erano tutti uccisi o feriti. Sono stati i primi prigionieri che abbiamo fatto, ma ovviamente non potevamo portargli con noi. Gli somministrammo le nostre medicine, che è stata una politica che abbiamo sempre avuto con il nemico, e li rispettammo la vita, naturalmente, ai feriti, che era una politica invariabile che seguimmo durante tutta la guerra con i prigionieri. Prendemmo le loro armi e aumentammo il nostro gruppo a circa 30 uomini.
Poi, all'alba, camminammo in direzione all’altro fiume, dove eravamo stati in precedenza verso Palma Mocha. Loro reagirono con molta rabbia, inviarono un gran numero di truppe, centinaia di soldati; ma inviarono davanti un'avanguardia di paracadutisti e noi tendemmo un’imboscata all'avanguardia dei paracadutisti e gli facemmo un buon numero di vittime e gli sconfiggemmo. Gli occupammo anche alcune armi. E questi due scontri ebbero luogo il 17 gennaio e 22 gennaio 1957, che furono le nostre due prime vittorie militari contro di loro.
Ora, questa zona ha un’importanza storica, perché più a nord di dove ci troviamo, lungo il fiume, si trova la zona di La Plata, che fu, diciamo, il centro principale delle nostre operazioni. Veramente la nostra guerra per molti mesi si sviluppò in un territorio che aveva circa 30 chilometri di lunghezza e 20 chilometri di larghezza, in un'area di 60 chilometri quadrati. In quest’area si muovevano loro, e ci muovevamo anche noi, e dentro queste area si svolgevano le azioni. Naturalmente all’inizio eravamo deboli, e quando loro mandavano le loro colonne, le colonne potevano attraversare la sierra senza difficoltà. Con il passare del tempo noi cominciammo a osservare le loro abitudini e allora già cominciavamo a tendere imboscate alle colonne, ma non potevamo impedire a loro di penetrare. Gli causavamo delle perdite, prendevamo alcune armi, comunque attraversavano.
La nostra forza cominciò a crescere, e già nell'estate del 1958 avevamo circa 300 uomini. Quando loro lanciarono l’ultima offensiva nella Sierra Maestra, riunirono circa 10 mila uomini e noi avevamo 300, ma ormai i nostri combattenti erano gente molto esperta. Avevamo relativamente un piccolo parco, ma in quell’occasione difendemmo le posizioni. Stabilimmo, da diversi punti di penetrazione nella sierra, le nostre posizioni, e abbiamo resistito, cominciammo a ritardare la loro offensiva, e a causargli vittime successivamente.
Quell’offensiva, tra la loro offensiva e la nostra controffensiva, durò settanta giorni. Durante settanta giorni si combatté quasi ogni giorno. Ma il momento decisivo dove è sconfitta l'offensiva è in una battaglia chiamata la battaglia del Jigüe circa 5 chilometri da qui, dove noi siamo riusciti ad accerchiare un battaglione. Questo battaglione era guidato da un capo molto esperto. Noi lo stavamo inseguendo, e gli avevamo fatto alcune manovre, abbastanza pericolose per il battaglione, ed era riuscito a fuggire. Ma allora l’avevamo accerchiato. Veramente l’abbiamo accerchiato con 30 uomini. E il resto degli uomini, 90 uomini, la maggior parte l’abbiamo messa in direzione alla spiaggia, dove c’èra un'altra forza nemica. Con 120 uomini siamo stati a combattere durante 10 giorni.
Ma la situazione era molto speciale, perché in quel momento noi avevamo una colonna nemica circondata e allo stesso tempo noi eravamo circondati da diverse colonne nemiche. Loro cercando di rendere la nostra difesa, e noi cercando di sconfiggere il battaglione assediato. Siamo riusciti ad annientare i rinforzi, soprattutto quelli che venivano in questa direzione, dalla spiaggia. I principali rinforzi venivano dalla spiaggia, e lì abbiamo messo la maggior parte della nostra forza. Man mano occupavamo le loro armi, quando avvenivano i combattimenti, aumentavamo il numero di uomini. E alla fine, noi avevamo eliminato i rinforzi e avevamo sconfitto il battaglione. Questo ci diede un potenziale in parco e in armi molto grande, e fu un cambiamento totale nell'offensiva. A partire di quel momento prendemmo noi l’offensiva e gli sgomberammo dalla Sierra Maestra.
Alla fine di quell’offensiva, noi avevamo occupato più di 500 armi, e gli avevamo provocato più di mille perdite. Tra loro circa 400 prigionieri, che consegnammo alla Croce Rossa, con la partecipazione della Croce Rossa Internazionale, gli consegnammo e gli liberammo, che era la politica che noi usavamo con i prigionieri.
Già allora le nostre forze crebbero fino a 800 uomini e in pratica con 800 uomini cominciammo l'invasione del paese, tranne nel Secondo Fronte, dove già c’era Raúl. Perché quando arrivò l'offensiva, noi avevamo portato le truppe di Almeida che erano vicino a Santiago, le truppe di Camilo che erano in pianura, le truppe di Ramiro che erano a est e cominciammo a riunire tutte le truppe. Ecco perché riuscimmo ad avere 300 uomini. Le uniche truppe che non concentrammo, perché erano molto distanti, furono le truppe di Raul nel Secondo Fronte.
E dopo quest’offensiva, e nella seconda metà dell'anno 1958, noi inviammo colonne a Santiago de Cuba, verso il nord della provincia orientale, verso Camagüey e le due colonne, una comandata dal Che e l’altra da Camilo, che furono per il centro dell'isola. Perciò, questa fu una battaglia che significò un punto di svolta nella guerra.
L'esercito era molto più grande di noi. Il totale degli uomini di Batista sulle armi era di circa 70-80 mila. E quando la guerra finì, noi avevamo tremila uomini sulle armi. Tuttavia, avevamo 14 mila soldati assediati nella provincia di Oriente. Perché pur avendo loro molti uomini sulle armi, dovevano proteggere le città, gli impianti, i ponti, le comunicazioni. Il numero massimo delle forze che loro poterono riunire per combattere fu 10 mila uomini. Fu in quell'occasione che avvenne la battaglia a cui mi riferisco.
GIORNALISTA: E qui è dove avvenne l'episodio del Comandante...
FIDEL: Sì. Il comandante Quevedo era il capo del battaglione. Era un capo abile e combatté, resisté molto bene durante 10 giorni, perché erano già senz'acqua, senza cibo; avevano molte perdite. Lui era un ufficiale decente; era un ufficiale che non aveva precedenti di crimini o abusi contro la popolazione. Fu imprigionato; soltanto i più alti capi erano quelli che tenevamo prigionieri, e lui dopo si unì alle nostre forze e ci aiutò.
GIORNALISTA: E adesso?
I giorni della Sierra Maestra.
FIDEL: Ora è l'addetto militare di Cuba a Mosca. Lui ha scritto un libro su quella battaglia. Era un leader molto capace, fu veramente un nemico capace.
GIORNALISTA: E Lei gli lasciò la pistola alla fine del combattimento?
FIDEL: Alla fine del combattimento lasciammo le pistole a tutti gli ufficiali, non solo a lui. Ma è successo un aneddoto: io ero molto impaziente... Vi posso raccontare un aneddoto: l'ultimo giorno si sta organizzando la resa, e il comandante delle truppe assediate ci comunicò che se alle 6 di pomeriggio non arrivavano i rinforzi, allora loro si arrendevano. Non avevano ormai nessuna speranza di salvamento, perché avevamo sconfitto i rinforzi. Noi usavamo altoparlanti… Noi le lettere che occupavamo ai rinforzi gliele inviavamo, e gli davamo tutte le notizie. Mettevamo anche dei soldati prigionieri dei rinforzi a parlare per radio.
Ma alla fine io ero così ansioso di vedere la quantità d’armi che stavamo per prendere che, quando si stava sbrigando la resa, già di sera, decido di andare nell’accampamento, ma in incognito, come alcuni degli altri compagni che stavano parlando.
GIORNALISTA: All’accampamento nemico?
FIDEL: All’accampamento nemico.
GIORNALISTA: E non era un grande rischio quello?
FIDEL: Beh, io in realtà... È relativo. Erano già demoralizzati in quel momento. Ma io di nessun modo me avrei identificato, soltanto stava andando come quelli che stavano parlamentando. E sono entrato nell’accampamento quando ancora i soldati erano armati, e l’attraverso, e dopo pochi minuti di essere lì, tutti mi riconoscono e si comportarono irreprensibilmente, con il massimo rispetto. Pero è successo questo. Entrai nell’accampamento quando erano ancora armati. Certo che fu un’imprudenza, piuttosto un errore di calcolo.
GIORNALISTA: D'accordo, ma è andata bene.
FIDEL: Sì, è andata bene. Loro già avevano parlato con la nostra gente. Da trincea a trincea già la nostra gente gli dava acqua, sigarette. L'ultimo giorno c’è stato quello che si può chiamare una confraternita e c’èra tale clima. Non c'era un clima di violenza, non si combatteva da diverse ore. Ma c’era Quevedo. Quevedo era un capo rispettato dalle sue truppe, molto rispettato. Inoltre, un uomo signorile. Tutti questi fattori, naturalmente, influenzavano. Possibilmente l'analisi che io fecce della situazione nell’insieme mi diede fiducia per fare quello che ho fatto, anche se non com’è davvero accaduto, perché ho veramente pensato che potevo passare in incognito. Ma loro per qualche motivo mi riconobbero rapidamente, anche se era di notte.
Nasce un nuovo esercito
GIORNALISTA: Comandante, dopo la vittoria della Rivoluzione, la vittoria non risolse tutti i problemi, arrivarono grossi problemi: arrivò il problema del confronto con quel primo Governo, il consolidamento del potere rivoluzionario, e molto presto l'assalto dell’imperialismo, il blocco, tutto ciò. Uno dei principali punti - diciamo- che si osserva dall'estero è la dissoluzione dell'esercito della tirannia, che era un braccio armato della borghesia, e che era pericoloso, ovviamente, e non si capisce bene come siete riusciti a raggiungere così rapidamente la dissoluzione dell'Esercito prima che potessero riorganizzarsi o riprendere la forza e l’efficienza.
FIDEL: È che noi avevamo veramente sconfitto l'esercito di Batista, in pratica avevamo sterminato le sue truppe d’elite nella Sierra Maestra. E anche se era una forza armata numerosa, le sue truppe d'elite erano state sconfitte. E quando a un esercito gli eliminano le truppe di operazioni, è veramente sconfitto. A questo si univa il totale supporto del popolo, a modo che già militarmente non potevano fare molto.
Negli ultimi giorni avevamo già 14 mila soldati accerchiati in Oriente, l'Isola era divisa in due parti, l'iniziativa nelle nostre mani, e le forze armate di Batista demoralizzate.
In tali condizioni loro cercarono di mettersi in contatto con noi. E il capo delle truppe di operazioni mi chiede un incontro, nel quale ammette che avevano perso la guerra. Allora ci chiedono cosa pensavamo noi che loro dovessero fare. Io spiegai che l'Esercito si era molto screditato, tuttavia, ritenevo che dentro l’esercito ci fossero persone capaci e buone, che erano state purtroppo nella posizione di dover difendere l'istituzione, o difendere il regime insieme con l'istituzione. Loro si misero d’accordo con noi accentando la proposta di realizzare una rivolta.
Dall’eroica vittoria nasceva un nuovo esercito rivoluzionario e popolare.
A questo esercito che era stravinto, abbiamo detto che poteva fare un pronunciamento, unendosi alle forze rivoluzionarie. Ma gli dicemmo che eravamo assolutamente contrari a un colpo di Stato. Anche al Capo delle truppe in operazioni io consigliai di non andare nella capitale, di produrre il sollevamento delle truppe di Oriente e di unirsi alla Rivoluzione. Lui accettò; ma non compié. Si recò nella capitale.
Noi gli avevamo imposto tre condizioni: prima, non accettavamo un Colpo di Stato; seconda, eravamo contrari a qualsiasi tentativo di salvare Batista; terza, eravamo contrari a qualsiasi accordo con l'Ambasciata americana. Queste erano le nostre tre condizioni e le accettarono. Tuttavia fecero esattamente il contrario: furono nella capitale; organizzarono un colpo di Stato; si misero d’accordo con l'Ambasciata americana e agevolarono la fuga di Batista.
Perciò quando avviene il colpo di stato il 19 gennaio, noi per radio lanciammo uno slogan a tutta la nostra forza: non accettare il “cessate il fuoco”, continuare l'offensiva in tutti i fronti, e facemmo un appello ai lavoratori e a tutto il popolo allo sciopero generale rivoluzionario.
Era ormai tanto lo stato d’influenza della nostra forza e del nostro movimento, ed era tanta la decomposizione del regime che, per citare un esempio, tutte le stazioni radio e di televisione erano in linea con Radio Rebelde, i propri operai misero tutte le stazioni radio e di televisive in linea con Radio Rebelde. Tutto il popolo, e soprattutto i lavoratori, realizzarono una fermata assoluta e totale. Le nostre forze, le nostre colonne, senza cesare il fuoco, continuarono l'offensiva e in 72 ore avevamo praticamente disarmato l'intero esercito.
Nel museo dove si conservano le armi e le divise degli assalitori del Moncada.
In modo che, nei primi giorni di dicembre, il popolo si appropria di tutte le armi; decine di migliaia di cittadini brandirono le armi nelle loro mani, e l'Esercito fu virtualmente sciolto.
Se loro avessero accettato le nostre condizioni, noi avessimo potuto salvare per la rivoluzione molti ufficiali: ufficiali di carriera, ufficiali che non avevano commesso nessun crimine, che non avevano commesso omicidi o torture. Perché veramente fu un gruppo d’ufficiali quelli che avevano commesso, cento per cento, i crimini di Batista: una cricca; ma nelle Forze Armate c’erano ufficiali di carriera che non avevano avuto responsabilità diretta per quei crimini.
Se loro avessero accettato le nostre proposte, in ogni caso sarebbe stato nato un nuovo esercito, perché quello era un requisito indispensabile per la Rivoluzione; ma avessimo potuto contare sulla collaborazione di un maggior numero d’ufficiali. Comunque abbiamo avuto la collaborazione di un numero di ufficiali perché c'erano degli ufficiali prigionieri per complottare contro Batista e molti di quelli ufficiali, dopo il trionfo della Rivoluzione si sono uniti a noi.
Ci furono ufficiali che avevano lottato contro di noi, ma che erano uomini cavallereschi, uomini decenti, si unirono a noi. In modo che un numero d’ufficiali dell’antico esercito collaborò con noi, ma molti non sono stati salvati perché la demoralizzazione e disintegrazione fu totale. E non erano le migliori condizioni per contare sulla collaborazione di molti di questi ufficiali.
Ma veramente nasce un Esercito nuovo. E penso che in nessun modo sarebbe stato possibile realizzare la Rivoluzione se fosse stato sostituito il vecchio esercito da un nuovo esercito rivoluzionario e popolare, un nuovo esercito che oggi ha molta più preparazione tecnica, dieci volte più formazione tecnica di quella che ebbe mai l'esercito di Batista. Perché oggi noi abbiamo dieci volte più ufficiali, incomparabilmente miglior preparati di quelli che abbia mai avuto il nostro paese. Ma oggi è un Esercito rivoluzionario, composto di truppe regolari, costituito dalla riserva, principalmente da lavoratori e contadini addestrati, un Esercito popolare, la cui forza risiede non tanto nella sua professionalità o la sua tecnica, bensì nella la sua identificazione con gli interessi del popolo e nella sua enorme riserva d’operai e contadini che costituiscono la massa di combattenti in caso di guerra.
1977-12-02