Parole di Fidel
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Il 1961 produsse un violento giro d’inflessione nella vita culturale cubana. Partendo dalle Parole agli Intellettuali pronunciate da Fidel il 30 giugno del 1961 nella Biblioteca Nazionale, le cose presero una rotta differente o meglio si definirono posizioni ideologiche presenti in vari ambienti d’intellettuali e artisti.
Da una parte, era urgente dissipare dubbi, evitare risentimenti e scacciare i fantasmi presenti nei circoli dei creatori, e da un’altra era necessario definire piattaforme, creare punti di contatto, liberare cammini che avrebbero facilitato l’inserimento dell’arte e della letteratura nel processo di trasformazioni sociali.
Ho avuto privilegio d’essere testimone dell’avvenimento.
Avevo compiuto 21 anni ed ero lontano dall’immaginare che sarei stato uno dei partecipanti più giovani dell’incontro tra la direzione della Rivoluzione e un numeroso gruppo di creatori, soprattutto scrittori.
Io lavoravo soddisfatto con Argeliers León, compositore, etnologo e intellettuale di prestigio, che aveva avuto fiducia in me per assisterlo nella Biblioteca Nazionale e orientarmi nel campo dell’antropologia sociale.
Erano già stati realizzati due incontri precedenti, il 16 e il 23 giugno, ai quali io non avevo partecipato.
Ma il 30 Argeliers mi dice che il Comandante si sarebbe riunito nel teatro della Biblioteca.
Era tale la mia agitazione che Argeliers si occupò di me e mi sedetti di fianco a lui in un delle prime file.
Qualcuno con delicatezza indicò che mi spostassi nella parte posteriore della sala. Raccontandolo molti anni dopo in un incontro commemorativo, utilizzai un’immagine del baseball: mi avevano messo a giocar nei giardini dietro il diamante. Dopo tutto là si ascoltava meglio.
Presi appunti che poi ho perso ovviamente, ma restano nella mia memoria i fatti principali.
Fu un discorso, per me, rivelatore. Mi cambiò completamente la vita.
Io venivo da una classe media e non avevo una formazione politica ma sì una vocazione sociologica, antropologica e di patria molto grande, che è quello che mi ha fatto restare qui.
Que giorno aveva odore a manigua, odore a Sierra.
Ammirai molto quell’uomo di circa trent’anni, trascurato con la sua uniforme verde olivo, che veniva con un altro discorso.
Io ero abituato al linguaggio superficiale e mediato di alcuni intellettuali d’allora che dibattevano in programmi radiofonici come Ante la prensa, della CMQ.
I tempi della tirannia furono anche tempi di censura brutale.
La retorica regnava in un linguaggio pomposo di luoghi comuni.
Così ascoltai Fidel che già da Columbia, l’8 gennaio del 1959, portava avanti un discorso fresco, moderno, diretto e colloquiale, che giungeva all’anima di tutto il mondo, perchè diceva impattanti verità.
Quale sarebbe stato il mio destino senza la Rivoluzione? Impiegato pubblico, dipendente d’ufficio, o al massimo professore di spagnolo in un collegio nordamericano. Un dilettante intellettuale, al massimo.
Viaggiatore dei ferries per Miami e cacciatore di paccottiglia e denaro.
Prima delle Parole agli Intellettuali ma molto di più dopo, seppi che il mio destino era Cuba, la Cuba che dovevamo costruire, che ci è costata tanto.
Molti anni dopo nella Casa de las Américas –Eusebio Leal non lo dimentica mai- io dissi a Fidel: «Io non sono rimasto, ero già rimasto».
Quella riunione nella Biblioteca fu cruciale perchè Fidel misurasse la complessità di quella numorosa e variopinta assemblea di scrittori e artisti.
La Uneac, creata come risultato del Primo Congresso degli Scrittori e Artisti, due mesi dopo, con la guida di Nicolás Guillén, esercitò un ruolo di coesione. Tutto nel mezzo di un forte dibattito che produsse a sua volta un caleidoscopio di ricche espressioni della cultura cubana.
Abitualmente congeliamo in una frase il significato di Parole agli Intellettuali. Dobbiamo andare più in là. Pietra angolare della politica culturale della Rivoluzione, non si fermò nel tempo.
Guardando indietro osservo come Fidel seminò l’idea di una vera democratizzazione dell’arte e della necessaria unità nella diversità.
In quanto ai miei interessi più vicini, la base concettuale espressa da lui rese possibile la presa di coscienza attorno alla rivendicazione delle culture popolari e in modo particolare quelle d’origine africana, emarginate e remote sino allora.
Fernando Ortiz aveva già aperto una breccia rompendo schemi e pregiudizi razziali.
Il prossimo anno si compiranno sei decenni da quelle dichiarazioni imprescindibili. Abbiamo l’obbligo d’afferrare il filo conduttore tra le idee espresse da Fidel e l’ulteriore sviluppo della politica culturale della Rivoluzione; di separare l’essenziale dall’accessorio.
Attualizzare e anche polemizzare in una buona discussione, con il legato di Parole agli Intellettuali potrebbe essere un nuovo punto di partenza per un concetto più esatto della cultura cubana.